L’Amica non corrisposta

PREFAZIONE

Avete mai sentito parlare di amicizia non corrisposta?
Forse di amore non corrisposto sì! E’ molto comune.
Una delle due persone in gioco si strugge, soffre, sospira, anela, brama. E l’altra?
Non si scompone. Se lo sa di essere l’oggetto di cotanta dedizione, si sente lusingata, apprezza lo struggimento, però a patto che l’altro non diventi troppo ossessivo.
Se non lo sa conduce la sua vita e non si accorge di nulla.
Ma nell’amicizia non corrisposta la sofferenza è più sottile. Una delle due persone in gioco è piena di buoni sentimenti, rende partecipe l’altro della sua vita, gli confida i suoi più intimi pensieri, gli dà importanza.
E l’altra persona cosa fa? Prende le distanze.
Talvolta, mosso da pietà, rivolge un po’ di attenzione alla poverina, gli scrive qualche paroluccia consolatoria, ma il più delle volte, si diverte a pungolarla con battutine denigratorie.

VIAGGIO IN  AMERICA

Chiara, 38 anni, informatica, un viso né bello né brutto, capelli castani mesciati di biondo, occhi marrone chiaro grandi e rotondi, naso diritto, bocca piccola, mento sporgente. Media altezza, prosperosa ma non grassa. Proporzionata direi. Belle spalle quadrate, seno abbondante ma non troppo, fianchi armoniosi, vita stretta, sedere rotondo, un po’ di pancetta, gambe lunghe e affusolate. Carattere espansivo, permalosa, sgobbona, sindrome da prima della classe, buona e sincera. Un libro aperto con gli altri. Separata, 3 storie lunghe finite male e poi Paolo, compagno e convivente. Dopo anni di eterna insoddisfazione finalmente contenta della mia vita di coppia.
Lui, Giacomo, responsabile della contabilità, 45 anni, occhi verdi, brizzolato, naso un po’ aquilino, robusto ma non grasso. Niente di particolare, ma quando sorride gli si illumina il volto. Estroverso, simpatico, un po’ esibizionista e presuntuoso. Ma senza dubbio affascinante. Sposato con una una figlia di 18 anni e due gemelle di 5 anni. Sua moglie è una donna piccola, minuta, un bel visetto ma sempre un po’ trascurata. Prima del viaggio a San Francisco le nostre vite erano su due binari diversi. Pochi episodi ci avevano visto entrambi protagonisti. Una serata in discoteca con i colleghi, un capodanno con i rispettivi partners, qualche battibecco sul lavoro e scambi di battute sempre piuttosto pesanti. Ma nulla di più.
Eppure lui era convinto che io avessi un debole per lui ed io ero convinta che lui avesse un debole per me. La sua convinzione era maturata da una cena con i colleghi prima di Natale.
Io ero arrivata da 8 mesi in quella ditta. Mi ero pentita di aver lasciato il precedente lavoro. Era una ditta più grande, ormai conoscevo il mio mestiere e avevo un buon rapporto con quasi tutti i colleghi. Il motivo del cambiamento era stato soprattutto economico. Dopo sette anni ero ancora di quinto livello e nonostante mi fossero stati affidati dei progetti in cui dovevo coordinare delle persone, il mio responsabile mi considerava sempre una ragazzina.
La nuova ditta era decisamente più piccola. Nell’ufficio eravamo solo in tre. Giulio, un collega che mi aveva guardato di storto fin dall’inizio perché aveva saputo che il mio stipendio era più alto del suo, e Giovanni il responsabile, che tendeva a scaricare su di noi la colpa dell’inefficienza che c’era nell’ufficio. In realtà il lavoro era molto, il software era obsoleto e il personale insufficiente.
In quel periodo stavo con Mario. Dodici anni più di me, divorziato, responsabile dell’ufficio office automation nella ditta in cui lavoravo prima. Era introverso, egoista, avaro, ma molto affascinante. A volte si chiudeva nel suo mondo e mi escludeva dai suoi pensieri. Altre volte mi sfiorava una gamba, oppure mi faceva un complimento e il mio desiderio di lui si accendeva improvvisamente.In quel periodo però i disaccordi tra noi si erano fatti sempre più frequenti. Mi ero separata da quasi due anni e ancora mi chiedevo se fosse stata la scelta giusta. Mario usciva da una storia durata quattro anni e cosa si chiedesse lui non ne avevo la più pallida idea. E’ vero aveva lasciato lei per me ma era stato un salto nel buio. Lei era un porto sicuro, io ero una barca in mezzo alla tempesta.
Accettai di buon grado di uscire a cena con i colleghi. Con il passare dei mesi avevo cominciato a stringere diverse amicizie e anche il lavoro non mi sembrava più così ostico. E poi avevo voglia di evadere. Il mio matrimonio fallito, il rapporto insoddisfacente con Mario, il lavoro che non mi piaceva. Mi sembrava che tutto congiurasse contro di me.
Basta!!! Stasera voglio divertirmi.
Mi ero messa dei pantaloni neri attillati, i tacchi alti e una camicia trasparente. Dopo la cena eravamo andati a ballare in discoteca. Giacomo aveva simulato uno spogliarello ballando sul cubo. Dopo pochi minuti ero salita sul cubo anche io. Ballavo in modo sensuale e mi strusciavo contro di lui. Lo avevo fatto con lui ma avrei potuto farlo con chiunque, il mio obiettivo era quello di mettermi in mostra. Di buttare fuori tutta quell’amarezza che c’era dentro di me. Il mio lato più oscuro stava venendo fuori e Giacomo in quel momento era stato la vittima inconsapevole.
Una collega gli aveva detto: ‘Ma cosa stai aspettando? Puoi farci quello che vuoi con lei’.
Ma questo l’ho saputo nove anni dopo quando gli episodi che ci hanno visto protagonisti si sono moltiplicati, scatenati dal viaggio a San Francisco.
Io, Giacomo, Laura ed Ernesto.
Laura è la collaboratrice di Giacomo, nell’area recupero crediti. Ha 35 anni, un figlio di 6 anni, bel viso ma cicciottella e piccolina,
Ernesto, responsabile dell’assistenza tecnica, 43 anni, alto e magrissimo. Una figlia di 15 anni l’altra di 8.
Lo scopo del viaggio era quello di entrare in contatto con la filiale di San Josè, acquisita da poco dalla nostra società.
Ci troviamo all’aeroporto di Caselle verso le 07:30. Saliamo sull’aereo diretto a Francoforte. Aspettiamo all’aeroporto 45 minuti e poi ci imbarchiamo sull’aereo diretto a San Francisco. Io e Giacomo abbiamo i posti vicini, lascio a lui quello lato finestrino. Dopo un ventina di voli è sparito l’interesse a guardare fuori e poi vicino al corridoio sono più libera di muovermi. Laura siede dall’altra parte sulla stessa fila, ed Ernesto due posti dietro di lei. Cerco di leggere e di dormicchiare. Giacomo si entusiasma per tutto. La condensa sull’ala dell’aereo, una trasmissione che descrive come vengono coniate le banconote U.S.A., articoli stupidi su giornali altrettanto stupidi. A quel tempo non avevo particolare interesse per lui, tutto quell’entusiasmo mi disturbava un po’. Dopo 12 ore di volo finalmente arriviamo. Coda interminabile all’aeroporto di San Francisco per i controlli. Arriviamo in albergo che è pomeriggio secondo l’ora locale. A Torino sarebbero le 11:00 di sera. Decidiamo di fare un giro a Stanford dove c’è la famosa Università e anche un centro commerciale che vende gadget di ogni tipo. Il clima è ideale. Entriamo e usciamo dai negozietti, girovaghiamo per circa un’oretta, poi scegliamo un ristorante con dehors. Mangiamo pesce e ci godiamo il vento caldo di una splendida serata di maggio. Mi sembra di essere in vacanza. Il giorno dopo, Domenica dopo una colazione pantagruelica ci dirigiamo verso San Francisco città. Giacomo è entusiasta del paesaggio circostante. Fotografa di tutto. Io lo prendo in giro ma sono entusiasta anche io. Il sole splende alto nel cielo, il traffico è praticamente inesistente e sulla strada ci sono delle casette con giardino che sembrano quelle che si vedono nei telefilm Americani. Arriviamo a San Francisco dopo 40 minuti. Parcheggiamo nella zona del porto. Il famoso Fisherman Wharf. Girovaghiamo per i negozietti pieni di cianfrusaglie. E’ pieno di gente di tutte le razze, età ed estrazione sociale. C’è qualche barbone che chiede l’elemosina, dei giocolieri che fanno uno spettacolo in mezzo alla strada, dei ragazzi con jeans oversize che si sfidano con lo skateboard, e dei signori vestiti di tutto punto che passeggiano sulla banchina. La giornata è afosa, per fortuna che mi sono portata dietro la canotta e i calzoncini corti. Pranziamo in un ristorantino vicino al porto. Fish and Chips. Mangio con gusto e ogni tanto guardo il mare. Sto bene. La compagnia è divertente, il posto suggestivo, il cibo gustoso.
Ernesto parla poco ma è una persona con una cultura elevata. Qualsiasi argomento venga affrontato lui dà sempre un punto di vista molto acuto e competente. Laura è una chiacchierona, condivide con me la passione per i libri gialli, il cinema e l’abbigliamento.
Giacomo è il simpaticone del gruppo. Ha sempre la battuta pronta. Io sono la sua vittima preferita. Mi prende in giro perché voglio fare la ragazzina anche se ho una certa età, perché parlo troppo e perché sono sempre a caccia di complimenti e di approvazione per quello che faccio.
‘A me piace tanto la gente’.
‘Si ma alla gente non piaci tu, la stordisci con le tue chiacchiere’.
‘La volpe che non arriva all’uva dice che è acerba’.
Scrolla le spalle come se avessi detto un’idiozia.
Ho sempre pensato che il proverbio ‘chi disprezza compra’ avesse un fondamento di verità e la mia convinzione che lui avesse un debole per me si stava rafforzando. Parcheggiata vicino al porto c’è una splendida Harley Davinson.
Ne approfittiamo per fare una foto con il motociclista. Mi fa segno di salire dietro di lui e di mettergli le braccia al collo.
‘Ha visto la biondona con le tette grosse e voleva subito approfittarne. Commenta Giacomo.
Mi dà l’impressione che vorrebbe approfittarne anche lui. Lo guardo di sottecchi. Non è niente di speciale. Non ha stile nel vestire, ha il viso solcato da rughe profonde, ha le spalle troppo strette e il bacino troppo largo. Però c’è qualcosa di impalpabile che mi attira di lui. Forse è quel sorriso che gli illumina il volto, forse il ciuffetto di peli che esce dalla polo bianca o forse è perché avverto che in lui c’è una passionalità repressa quasi animalesca.
Nel pomeriggio andiamo ad Alcatraz in battello. L’isola dista solo 10 minuti dal porto ma sembra di essere in un altro mondo. C’è una brezza piacevole, i gabbiani si divertono a piroettare sopra la fortezza e l’odore del mare portato dal vento è inebriante.
Nel pomeriggio visitiamo Lombard Street, la famosa strada piena di curve, e dove le aiuole a forma di ellisse si inerpicano fino in cima. Ho comprato un oatmeal, il tipico biscotto a base di avena. E’ enorme e ripieno di pepite di cioccolato. All’inizio mi sembra impossibile riuscire a mangiarlo tutto, ma ingurgito anche l’ultima briciola.
Per fortuna la salita mi ha fatto bruciare qualche caloria. Magra consolazione!!!
Verso le 18:30 ceniamo al Ristorante Ghirardelli. La vista è mozzafiato. Il Golden Gate si staglia in tutta la sua maestosità e la baia colorata dal rosso del tramonto è spettacolare.
E’ stata una splendida giornata. Mi addormento serena. Non soffro affatto il fuso orario all’andata. Dormo profondamente e al mattino dopo mi sveglio piena di energia.
La settimana procede come da copione. Lavoriamo sodo durante il giorno, durante l’ora di pausa o prima di cena girovaghiamo per quegli enormi centri commerciali, poi ceniamo quasi sempre a base di pesce. Siamo tutti delle buone forchette e spesso prendiamo piatti diversi per potere assaggiare tutte le specialità. Le porzioni sono abbondantissime ma non lascio mai nulla sul piatto. Quando sono in viaggio non mi privo di nulla, mi perdono tutti i peccati di gola e non mi fermo neanche quando vedo che i pantaloni fanno fatica a chiudersi e stento ad addormentarmi perché sento un peso allo stomaco.
Io e Giacomo continuiamo a punzecchiarci e quando Ernesto ci lascia per andare a Milpitas, dove c’è un’altra filiale della nostra ditta, comincia a farmi delle battute pesanti.
‘Come si chiama quel piatto che sembra un’enorme zuppa di pesce?’
‘Cioppino’ Dico io.
‘Ma figurati! Come ti è venuto in mente un nome del genere?’
‘Non me lo sono inventato, esiste veramente.’
‘Scommettiamo che non esiste?’.Dice lui.
‘E che cosa scommettiamo?’ Ribatto.
‘Se vinco io ti trombo, se vinci tu mi trombi’.
Mi fingo scandalizzata ma sento una strana eccitazione crescere dentro di me. Non sono solo le cose che dice a turbarmi ma anche il modo in cui le dice. Il tono di voce basso, lo sguardo penetrante, il modo di muoversi lento, quasi felino. Non è più così controllato come quando siamo in ufficio. Forse vuole mettere alla prova il suo fascino, sperimentare se è vero che ho sempre avuto un debole per lui. O forse vuole solo giocare, aprire un varco a quello schema di vita che si è imposto ben consapevole che al ritorno a casa la falla si richiuderà e non lascerà nessuno strascico. Ma tutte queste domande me le sto facendo solo ora. In quel momento non davo importanza a quello che il suo comportamento stava suscitando in me, ignoravo i sintomi di una lunga malattia che mi avrebbe portato a rimettere in discussione tutto quello che avevo faticosamente costruito.
Eppure i segni c’erano.
Il mio desiderio di mangiare fino a stare male si stava attenuando, faticavo a prendere sonno, e sentivo uno strano formicolio allo stomaco. Questo era il segno più evidente che mi avrebbe dovuto mettere in guardia.
Si dice che ci siamo gli uomini di pancia. Io invece sono una donna di stomaco.
Concentro tutto le mie emozioni in quella zona. I crampi terribili di quando sono stressata, le farfalle di quando mi sto innamorando, le dilatazioni di quando mi abbuffo, le contrazioni di quando sono preoccupata. Tutto passa di lì. Bello o brutto che sia.
E in quel periodo il mio stomaco stava cominciando a pulsare. Una sera decidiamo di andare in un locale dove ci sono delle ragazze svestite che ballano sulla passerella.
Parecchi nostri colleghi lo hanno frequentato e hanno suscitato la curiosità di tutti raccontando l’effetto che queste ragazze avevano su qualcuno di loro che si sarebbe detto impermeabile a questo tipo di esperienza. Ma soprattutto c’era nell’aria questa voglia di fare qualcosa che sicuramente non avremo fatto nella nostra vita di tutti i giorni. Non provavo nessun imbarazzo ad entrare in un locale del genere, neppure quando io e Giacomo ci siamo seduti vicino al bancone e lui ha sporto un dollaro ad una delle ragazze. Forse Laura era un tantino imbarazzata e talvolta mi dava l’impressione di sentirsi il terzo incomodo.
Al ritorno, in macchina Giacomo, continuava a fare la parte del seduttore.
Spostava la testa a destra e a sinistra.
‘Hai di nuovo il torcicollo?’ Gli chiedo. Alcuni giorni prima si era lamentato che l’aria condizionata era troppo forte e il suo collo ne stava subendo le conseguenze.
‘E’ colpa tua se non mi passa. Da quando siamo qui non mi hai ancora fatto dei massaggi’.
Non so cosa rispondere. La mia loquacità è svanita. Sono profondamente turbata dalla serata. Quando sono nella mia camera tento di leggere un libro prima di addormentarmi ma non riesco a concentrarmi. Accendo la televisione ma non c’è niente di interessante. Spengo la luce e provo a prendere sonno. Ma continuo a girarmi nel letto. Cerco di scacciare la sua immagine dalla mia mente ma non ci riesco. Il fuoco dentro di me comincia a bruciare e da allora non ha più smesso. Talvolta sembra spegnersi ma basta un frase o uno sguardo di un certo tipo e divampa sempre più intenso. Il giorno dopo il gioco continua. Lo scambio di battute si fa più frequente. Decidiamo di uscire presto dal lavoro per fare shopping e di trovarci dopo cena per scrivere un documento che riassuma le attività fatte in questi giorni. Io e Laura giriamo insieme nei negozietti, Giacomo da solo. Compro 2 magliette e tre paia di calze per Paolo. Indosso una delle due magliette. E’ rossa e ha la scritta New York. Mette in risalto il seno e indossata con i jeans a vita bassa mi lascia scoperta un po’ la pancia. Mi sento desiderabile. Ceniamo in una steak house. Il cibo non è un granché ma in realtà non mi importa molto. Sono allegra e visto che è l’ultima serata divento un po’ sfacciata.
‘Facciamo un gioco’ dico.
‘Ognuno di noi fa una domanda imbarazzante e gli altri rispondono.
Comincio io’. ‘Quando avete fatto l’amore la prima volta?’.
Giacomo: ‘A 20 anni con la mia ragazza di allora, Manuela. Siamo stati insieme quattro anni e l’intesa sessuale è sempre stata fortissima. Poi l’ho lasciata per un’altra che mi faceva girare le scatole ma che proprio per questo mi faceva impazzire.’
Laura: ‘Io a 19 anni. Ma non è stato un granché.’
‘Io a 20 con il mio futuro marito. L’avevo fatto tribolare per ben due anni e poi avevo ceduto. Anche per me non è stato un granché. Eravamo tutte due inesperti.’
‘Adesso tocca a voi fare le domande imbarazzanti’. Scena muta.
Allora continuo io, inesorabile come un bulldozer.
‘Quali sono i posti più strani dove avete fatto l’amore?’
Giacomo: ‘In spiaggia’.
Racconta una storia che ha avuto in vacanza con una ragazza Inglese bellissima. Ma non lo sto ad ascoltare, lo guardo mentre parla e cerco di immaginarmi come era quando aveva poco più di vent’anni. Laura non ha nulla da raccontare. Non ricorda posti particolare e non ama parlare di queste cose. Però sembra interessarsi al gioco anche lei.
Allora tocca a me:
‘Nel bagno della discoteca. In macchina mentre lui guidava. Nel parcheggio di un supermercato di notte’.
Non racconto i particolari né dico con chi l’ho fatto, lo comunico semplicemente come se stessi parlando delle previsioni del tempo. Lo scopo è quello di vedere le reazioni di Giacomo. Forse la mia mancanza di fascino sta proprio in questo. Riesco a dire delle cose sconvolgenti con un tono di voce neutro. Giacomo è esattamente l’opposto. Quando parla di lavoro alza il tono della voce su alcune parole chiave per far si che rimangano bene impresse nella mente di chi ascolta. Quando fa delle battute a doppio senso abbassa il tono della voce perché rimanga impressa l’emozione che le sue parole hanno suscitato più che le parole stesse.
Torniamo in albergo.
‘Io devo lavarmi i capelli, cominciate voi a scrivere il documento’ Dice Laura.
Avevamo deciso di terminare il lavoro alle 17:00 e poi trovarci dopo cena a scrivere un documento che riassumesse gli argomenti affrontanti con i colleghi Americani. Giacomo viene nella mia camera. Percepisco un po’ d’imbarazzo da parte di entrambi. Ma forse è solo una mia impressione.Accende la televisione e si stende sul mio letto, io preparo la valigia. Dopo 5 minuti arriva Laura.
‘Avete già finito’.
Evitiamo entrambi di rispondere. Giacomo e Laura si siedono alla scrivania mentre io continuo a muovermi su è giù per la stanza. Giacomo muove la testa a destra e a sinitra. Avrei tanta voglia di fargli un messaggio, ma sono troppo imbarazzata. Improvvisamente vinco tutte le remore e appoggio le mie dita sulle sue spalle.
‘Oh!!! che sollievo’ dice lui.
Ma mi sono decisa troppo tardi. Il documento è finito, Laura chiude il computer e Giacomo si alza dalla sedia. Il massaggio è durato poco e non mi pare che gli sia piaciuto molto. Ma ora mi ha preso il via, sono su di giri. E’ l’ultima sera devo approfittare di questa complicità che si è creata tra noi.
‘Che ne dite se continuiamo il gioco di ieri’?’
‘Va bene’ rispondono in coro.
‘Chi non vi fareste nonostante sia una persona piacevole?’
All’inizio sembrano un po’ turbati. Parlo prima io.
‘Io Andrea’. E’ il rubacuori della nostra ditta. Bel ragazzo ma troppo pieno di se.
Laura: Io Fabio. E’ il fidanzato della mia collega e amica del cuore Paola.
Giacomo: ‘Io Cristina’. E’ la sua amica e collega del cuore.
In quel momento realizzo che sono sempre insieme. Due giorni fa lei gli ha scritto un e-mail dicendogli che è uno stronzetto perché mentre io e Laura abbiamo telefonato o scritto delle e-mails alle nostre colleghe, lui non ha fatto nessuna delle due cose. Divento improvvisamente gelosa. Mi viene il sospetto che abbia detto che non è attirato da Cristina per sviare i sospetti.
‘Domani sveglia presto per cui è meglio andare a dormire’. Dice Giacomo.
Beato tu che ci riesci. Vorrei che fosse qui nel mio letto. Domani torniamo alla vita di sempre ma questa sera ti voglio.
Voglio sentire il tuo corpo sopra il mio.
Voglio accarezzare il tuo torace.
Voglio vederti gemere mentre mi muovo sopra di te.
Voglio dormire al tuo fianco stremata.
Voglio svegliarmi e trovarti vicino a me con la voglia di ricominciare a prendermi.
Naturalmente non gli dico niente di tutto ciò. Ma prima di addormentarmi vedo il suo volto sorridente e sento la sua voce sensuale che mi sussurra nell’orecchio:
‘Ho voglia anche io di te.’
Il giorno dopo pranziamo nel ristorante dell’aeroporto, Giacomo fa il cascamorto con una cameriera molto giovane che dice di adorare l’Italia. Mi dà un po’ fastidio ma cerco di non darlo a vedere. Al ritorno io e Laura siamo sedute vicino. Giacomo è seduto due file davanti. E’ un po’ insofferente nei miei confronti. Forse perché sto diventando un po’ appiccicosa. Nel volo Francoforte Torino mi siedo vicino a lui e mi sporgo per vedere fuori dal finestrino. ‘Ma se ti interessa vedere il panorama perché non ti siedi in un altro posto. L’aereo è quasi vuoto. La falla che aveva aperto si è richiusa. E’ tornato alla vita di sempre e io non ne faccio parte. Quando arrivo a casa sono un po’ depressa. Saluto Paolo abbracciandolo e baciandolo con trasporto. Ma la mia mente è ferma a quella magica settimana. Il lunedì non si fa che parlare del nostro viaggio.
Giulio e Giacomo si scambiano battute sul fatto che entrambi mi hanno dovuto sopportare per una settimana. L’anno scorso avevo fatto un viaggio con Giulio a Londra. Dal mio punto di vista eravamo stati bene, ma a Giulio piace punzecchiarmi perché lo sa che sono permalosa. Mi arrabbio un po’, però cerco di non darlo a vedere. Pranzo in mensa con Giacomo e Cristina. Chiacchieriamo allegramente. Ad una mia battuta Giacomo ride fragorosamente.
‘In America, Chiara ci faceva morire dalle risate!’
‘Da quando siete tornati dall’America avete uno strano rapporto di amore e odio.’
‘C’è sempre stato’ dice Giacomo.
‘Si ma ora si è accentuato’ ribadisce Cristina.


IL CAMALEONTE

E’ incredibile come una persona che per anni non hai considerato ti si presenta sotto una nuova luce e diventa improvvisamente parte della tua vita.
Per me è successo praticamente con tutti i miei partners e ora sta succedendo anche con Giacomo.
Forse perchè nel corso della mia vita ho cambiato modo di pensare, di agire, di essere innumerevoli volte.
Adesso sono una persona completamente diversa da come ero 20 anni fa.
Ero una ragazza assennata, con sani principi, votata allo studio, tiepida sessualmente e forse anche un po’ moralista.
A 15 anni avevo avuto una storia con un mio coetaneo, che era durato circa un anno e mezzo.
Era finita perché entrambi non ce la sentivamo di impegnarci in una relazione così seria data la giovane età.
Lui avrebbe voluto far l’amore con me ma io ero dell’idea di sposarmi vergine e mi rendevo conto che farlo aspettare così a lungo sarebbe stato impossibile.
Ma forse il motivo principale era che nonostante stessi bene con lui, la passione vera, quella che ti fa perdere la testa e demolire i principi morali, non la provavo affatto.
Mi piaceva quando Paolo mi baciava, ma se le sue carezze si facevano più insistenti mi ritraevo. Con il passare dei mesi accetti di farmi toccare e di toccarlo ma lo facevo quasi per fargli un favore, non sicuramente perché lo desiderassi veramente.
La cosa buffa era che non riuscivo a guardare il suo pene. Mi faceva quasi ribrezzo quell’appendice che si gonfiava improvvisamente quando mi avvicinavo a lui.
A 18 anni uscii con Dario, il mio futuro marito. I miei sensi si erano risvegliati ma a corrente alternata. A volte i suoi baci appassionati mi travolgevano, altre volte mi disturbavano.
Faticosamente riuscii a non avere un rapporto completo con Dario fino a 20 anni.
Mi ero concessa soprattutto perché mi rendevo conto che il mio desiderio di arrivare illibata al matrimonio era una crudeltà nei suoi confronti.
Lui a differenza di me dimostrava una passione ardente che negli ultimi mesi non riusciva più a placare con il petting, anche se spinto.
I primi rapporti erano stati tutt’altro che eccitanti. A parte il dolore fisico delle prime due volte, la sua eiaculazione era quasi immediata.
Per alcuni anni l’unico modo in cui raggiungevo l’orgasmo era con la stimolazione del clitoride.
Allora il sesso non aveva una grande importanza per me. Con Dario stavo bene.
Mi capiva, mi proteggeva, viveva in funzione mia e il fatto che fosse così attratto da me faceva bene al mio ego che aveva continuamente bisogno di conferme.
Sposarci dopo cinque anni di fidanzamento mi era sembrato naturale.
Talvolta mi era venuto il dubbio che forse non era la persona giusta per me, ma la sua empatia nei miei confronti mi compensava di tante altre mancanze.
Lui invece mi aveva messo sul piedistallo. Ero la ragazza che aveva sempre sognato e vivere una vita intera con me era tutto ciò che voleva.
Io invece cominciavo a sentirmi in prigione.
In viaggio di nozze eravamo andati a Parigi perché di prendere l’areo non se ne parlava assolutamente.
I primi giorni erano andati abbastanza bene. Avevamo visitato il Louvre, la Tour Eiffel, l’Operà, le Champs Elysee e avevamo cenato sul Bateau Mouche.
Poi aveva cominciato a dare segni di insofferenza.
Telefonava spesso ai suoi genitori e non aveva più voglia di visitare la città.
I primi due anni di matrimonio erano stati una delusione per entrambi.
Io avevo cominciato ad avere maggiori responsabilità sul lavoro per cui la sera rientravo tardi, inoltre due volte alla settimana andavo in palestra.
Dario lavorava in Comune. Al pomeriggio usciva alle 16:15 per cui aveva tanto tempo libero che solitamente impiegava giocando a carte con suo papà o accompagnando a turno sua mamma, sua nonna, sua nipote o sua cognata alle visite mediche o impegni vari.
Le faccende di casa erano una lotta continua. Abitavamo sopra i miei genitori per cui mia mamma si sentiva quasi in dovere di aiutarmi. Io invece volevo fare tutto da sola e l’aiuto al limite lo pretendevo da Dario che di tempo libero ne aveva in quantità.
Ero spesso nervosa e insofferente. Dario invece era spesso taciturno e anche se era deluso di me non lo ammetteva neanche con se stesso.
I rapporti sessuali si facevano sempre più diradati. Io non ero mai stata molto attratta da lui, al contrario lui lo era molto da me ma cominciava a stufarsi dei miei continui rifiuti.
Eppure c’era delle cose belle che ci univano.
La tenerezza del mattino appena svegli, il cinema che appassionava entrambi, le canzoni di Vasco cantate a squarciagola e le corse in bicicletta alla Mandria.
Ma forse non erano sufficienti soprattutto per lui.
E quel pomeriggio di Giugno lo scoprii nel modo peggiore. Seduta sulla sedia della cucina il mio mondo crollò improvvisamente mentre mi diceva che stava bene con lei, che lo attraeva e che non ci a veva fatto sesso.Lei era Patrizia, 33 anni, 6 più di lui, con un figlio di 2 anni. Lavoravano insieme ed erano circa due mesi che si frequentavano. Erano innamorati, o almento così mi disse Patrizia quando decisi di parlarle in un bar.
La mia reazione fu terribile. All’inizio mi accusai di non averlo amato abbastanza, di non averlo soddisfatto sessualmente e di averlo trascurato per il lavoro.
Poi accusai lei. Le telefonai e le scaricai una sequela di parolacce. Un giorno andai nel loro ufficio e feci una scenata. Per fortuna lei non c’era e Dario riuscì a calmarmi. Furono mesi tremendi. Poi lui decise di non vederla più.
‘Allora hai scelto me.’ Gli dissi.
‘Ti ho scelto due anni fa, quando ti ho sposato’. Mi rispose. E per alcuni mesi mi bastò. Diventai più attiva sessualmente e più attenta alle sue esigenze. Ma durò poco. Chi subisce un danno è pericoloso. Si sente autorizzato a farlo subire agli altri. Fu così che divenni un adultera. Prima con il pensiero e poi con i fatti.
Più che un pensiero era un chiodo fisso. Si chiamava Roberto. Era un bel ragazzone che lavorava con me. Occhi verdi chiarissimi, capelli neri, carnagione scura. Alto e con un fisico da sballo.
La prima volta che lo vidi mi fece un effetto esplosivo.
Al diavolo il tradimento, al diavolo il mio matrimonio.
Volevo lui. A tutti i costi. Ma lui non voleva me.
All’inizio sembrava interessato ma quando capì che lo stavo circuendo si defilò.
Che tranvata!!! A livello intellettuale non c’era molto feeling però lo desideravo da impazzire. Fisicamente era quello che si può definire il mio tipo ideale, non mi interessava se gli argomenti di conversazione erano scarsi, lo volevo con voracità.
Non ero più la brava ragazza studiosa, pacata con sani principi.
Ero diventata una donna passionale con una carica sessuale inaspettata.
Passarono alcuni mesi e scegli un’altra vittima.
Mario. Con lui c’era affinità intellettuale ma mi attraeva anche fisicamente.
In particolare mi piaceva la sua bocca. Piena e carnosa. Ma mi piacevano anche le parole che uscivano da quella bocca. E ancora di più il modo in cui le diceva.
‘Chiara. E’ un nome che mi è sempre piaciuto e a te sta benissimo’.
Mi disse una delle prime volte che parlammo.
Qualche mese dopo mi accompagnò ad una cena con i colleghi. Io abitavo nello stesso paese della ditta in cui lavoravamo e siccome lui decise di fermarsi in ufficio fino all’ora della cena si offrì di venirmi a prendere. Mi accolse fuori dalla porta e non appena mi vide disse:
‘Hai aperto un raggio di sole in questa serata nebbiosa.’
Sembrava la frase di un seduttore consumato che ha come unico obiettivo di portarsi a letto la vittima e poi abbandonarla. Ma non era questa la sua intenzione mi disse successivamente. Io gli piacevo veramente.
Quella sera quando ballammo teneramente abbracciati avrebbe voluto dimenticare tutto, passato e presente e perdersi con me nell’oblio. Chiacchierammo per 2 ore in macchina sotto casa mia.Ma fu il mio passato a venire fuori in quel frangente. Gli raccontai tutto, il mio matrimonio, la mia separazione e anche quella stupida storia di Roberto che mi aveva lasciato tanta amarezza. Qualche giorno dopo ci vedemmo fuori dall’ufficio per discutere del mio curriculum.
Volevo rimettermi sul mercato perché avevo capito che in quella ditta non c’erano grandi possibilità per me. Lui mi sembrava la persona più attendibile per darmi dei consigli e forse non era solo questo quello che volevo da lui.
Dopo avere letto e commentato il curriculum nella sua macchina si sporse verso di me per aprire la portiera che era un po’ difettosa. La vicinanza ci fece un effetto esplosivo. Ci buttammo uno nelle braccia dell’altro e ci baciammo appassionatamente. Quei baci furuno una medicina. La ferita aperta dal tradimento e il rifiuto di Roberto scomparirono improvvisamente.
Mi aggrappai disperatamente a lui come se fosse la risoluzione di tutti i miei problemi. Fu amaro scoprire dopo alcune settimane di baci appassionati e di carezze proibite che aveva una relazione con una donna che durava da quattro anni. Daniela.
Fu ancora più amaro scoprire che soffriva di una impotenza psicologica. Con lei qualche volta riusciva ad avere un’erezione ma con me non ci riusciva affatto. Compensava però questa mancanza in altri modi. Mi sapeva toccare in un modo fantastico. Le sue dite mi accarezzavano la pelle come fosse seta, poi scendevano più in basso facendo provare delle sensazioni incredibili. La sua lingua era ancora più conturbante. Disegnava dei piccoli cerchi sui capezzoli, poi scendeva sul ventre e infine si posava sul mio sesso facendomi gemere di piacere. Era una sensazione liquida, mi sembrava di ondeggiare a pelo d’acqua sospesa come una ninfa che si schiudeva ai primi raggi di sole.
E così si chiamava il ristorante in cui andammo la prima volta. ‘Raggio di sole’. Perchè dopo alcuni mesi passati chiusi in macchina o a casa sua a fare l’amore, non mi bastava più. Volevo che si comportasse come un amante. Inviti a cena, regali, e mazzi di fiori.
Ma per lui non ero un’amante. Ero una parentesi di felicità, un’estraniarsi da un rapporto che non lo soddisfava più ma che non riusciva ad interrompere.
Io invece il mio matrimonio lo volevo chiudere subito e quando lo dissi a Dario scoprii che anche lui aveva ripreso a vedere Patrizia più o meno nello stesso periodo in cui io avevo cominciato la relazione con Mario. Passarono due anni in cui continuavo a vivere con Dario e vedevo Mario più o meno una volta alla settimana.
Dario era diventato una specie di amico. Parlavamo dei nostri rapporti extraconiugali, ci davamo consigli e ci rifugiavamo uno delle braccia dell’altro quando Mario e Patrizia ci facevano tribolare. Era diventato un rapporto splendido. In casa Dario era più collaborativo, io meno nervosa e più tollerante. Non facevamo sesso ma ci baciavamo e ci abbracciavamo con tenerezza. Quando dissi basta e lo cacciai dalla casa dei miei genitori fu terribile.
Non riuscivo a respirare senza di lui, la sua mancanza mi provocava un dolore quasi fisico. Mario peggiorò la situazione. Quando decise di parlare a Daniela di me, lei lo supplicò di non lasciarla e di darle un’ultima possibilità. Lo fece e mi lasciò sola. Sommersa dagli oggetti di Dario. Quando se ne era andato non aveva portato via nulla, neanche i vestiti. Dopo il lavoro veniva a casa a cambiarsi, stava lì per circa un’ora e verso le 18:00, quando io rientravo se ne era già andato. Assurdo. Ma non riuscivo a dirgli che anche se non aveva spazio a casa dei suoi genitori, non era normale la situazione che stavamo vivendo.
Ma non erano normali neanche i due anni in cui vedevamo regolarmente i nostri amanti ma continuavamo a vivere sotto lo stesso tetto. A condividere lo stesso letto, a scambiarci consigli e a consolarci a vicenda. Era una situazione patologica che ancora oggi a distanza di nove anni non riesco a capire come potessi tollerare.
In tre mesi vidi Mario solo due volte. Mi mancava terribilmente. Poi improvvisamente riprendemmo a frequentarci. Una venerdì sera mi telefonò e mi chiese:
‘Cosa fai domani?’
‘Non lo so’. Risposi io.
‘Vieni con me a scegliere un quadro per la cucina?’.
Ci andai. Non mi disse nulla del perché non fosse andato con Daniela e io mi guardai bene dal chiederglielo.Per una settimana ci vedemmo tutti i giorni. Uscivamo presto dal lavoro poi ci tuffavamo nei negozi a fare acquisti per la casa che aveva appena acquistato.
Lo desideravo da impazzire. Tecnicamente non era migliorato molto rispetto a due anni prima. Le sue erezioni erano sporadiche e troppo frettolose per soddisfarmi. Ma riusciva sempre a farmi godere e a lasciarmi un desiderio di lui che non si spegneva mai.
Il mio modo di amare patologico trovava in Mario il suo emblema.
Forse le mie abbuffate e la mia ossessione per Giacomo di adesso, sono la fase terminale di un tumore che in quel periodo era solo un embrione.
Tutto quello che sono ora lo devo a loro.
A Dario, che mi teneva legata a lui chiamandomi tutti i giorni e lasciando la sua roba a casa mia per non spezzare quel cordone ombelicale che ci teneva uniti a dispetto di tutto e di tutti.
A Mario che mi disse ‘Ho lasciato Daniela perché ti amo’ solo quando decisi di lasciarlo per un altro.
O forse quell’embrione era nato ancora prima quando ero un brutto anatroccolo vicino allo splendido cigno che era mi sorella.
Non so darmi una risposta. Ma fin da bambina mi piacevano i drammoni dove all’inizio lui e lei si rincorrevano e poi in un’esplosione di passione si baciavano e si giuravano amore eterno. Ma il dopo non mi interessava più. La famiglia, i figli le trovavo delle banalità che non avevano niente a che vedere con l’amore.
Sicuramente sarà dovuto alla mia giovane età, mi dicevo. Quando sarò adulta e avrò trovato la persona giusta cambierò idea.
Ora adulta lo sono. Il camaleonte ha cambiato pelle tante volte, però l’idea dell’amore travagliato non mi ha ancora abbandonata.

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