NELLA PARTE PIU’ ALTA DEL CIELO
Tutte
le volte che James Ivory passava tra le sparse case di Writy*
attraversando il sentiero ghiaiato, lasciava vagare lo sguardo un
poco ebete da una parte all’altra della strada; di gatto in
gatto, di mulo in mulo, di faccia in faccia.
- Ciao, Poeta! - lo
apostrofò in quel mattino tiepido un moccioso dai capelli
rossi, cresposo. Lo sfotteva dinanzi ai suoi tre fratelli che di
fianco a lui ridevano sganasciati e irriverenti verso colui che era
considerato, a torto o a ragione, lo scemo del villaggio. James li
scrutò muto, indifferente.
- Vai ancora alla Collina Delle
Farfalle, poeta? - gli gettò la frase a mo' di sputo uno dei
giovinastri.
- Già già. Lo sanno tutti che ci va per
la vedova Smith! - saettò il fratello e prese a calci un
sasso, rabbioso.
- Povero idiota - sentenziò a denti
stretti.
Era primavera e la terra saturava afrodisiaci odori,
sapori, vite magiche celate dalle felci, voli pindarici di fate
inquiete e salti di gnomi ballerini nei petali delle violacciocche e
dei muschi; sui gusci dormienti, striati d’oro delle lumache.
James Ivory colle sue carte logore, Eratee sotto il braccio prese a
salire per il tortuoso sentiero su, sempre più su, fino alla
sommità della Collina Delle Farfalle. Sedette su di un grande
masso macchiato di lichene verde e morbido all’ombra di una
quercia della quale James faticava a vederne la cima ma i rami…
i rami danzavano per lui in sintonia col vento di maggio, mimavano un
amoroso abbraccio ai passeri e con loro sembravano
cantare.
Ecco.
Laggiù si vedono le venti case di Writy e
giù a destra il vasto bosco scuro nonostante il sole e giù
ancora, sino a dove viaggiano gli occhi di James le colline in fila,
dolci ed arrotondate come seni di donna. La Collina Delle Farfalle
era sempre stato l’Eden segreto di James Ivory; la sua intera
vita. Ed in alto, sì; nella parte più alta del cielo,
ci si poteva arrivare a spiare il mondo con gli occhi dell’anima;
ogni umana miseria.
Joanna attraversava il sentiero arrancando tra
gli spini; stretta e infreddolita nello scialle di cotone nero. James
la riconobbe dai capelli: una lunga chioma selvatica, nera come le
ali di un corvo libero di volare col Maestrale. Lei sollevò
gli occhi suoi scuri incrociando quelli di lui poco più su
.Gli sorrise dolcemente.
- Buondì, James - disse e lui
rispose con un cenno del capo.
Il Poeta. Il suo passaggio
quotidiano lo trovava sempre lì, immerso come una fiera timida
nella selva, arrossato dal sole e dalla timidezza.
-
C…ci…ao…Joa…n…na! - tentennò
tra le parole James. La giovane vedova rallentò l’andatura
come incerta sul da farsi. Lo guardò con la coda dell’occhio,
riprese il passo.
-Hai…hai por…ta…to i
bam…bam…
- I bambini a scuola? Sì -, finì
Joanna, provando un moto di pietà per quell’uomo evitato
da tutti.
Allora James si alzò, ergendosi nella sua statura
e l’altra, come mossa da un qualcosa d’incredibilmente
magico che il signore mi
perdoni… sono le piccole fate del bosco! Lo
raggiunse.
E adesso Joanna era davanti a lui, bellissima e fiera.
James Ivory aveva sempre spiato ogni suo passo, scritto per lei
centinaia di poesie mai lette da nessuno che non fosse un merlo
solitario di passaggio, o uno scoiattolo intento a rosicchiare
castagne, qualche foglia pendula, porporata da un autunno precoce ed
imminente.
- Perché sei sempre qui, James? Voglio dire…
al villaggio sono arrivate chiacchiere non
buone per me; io sono vedova, ho due figli e non sta bene che tu…
-
Io ti as…petto!
- Ebbene, James, non aspettarmi più
- mormorò lei evitando quello sguardo adorante che pareva
frugarle l’animo.
- Ti prego - aggiunse.
- IO TI ASPETTO!
Gli occhi della musa s’intenerirono, sollevò una
mano a carezzare la guancia di quel trentenne bambino.
- Povero
poeta - bisbigliò, cacciando indietro le lacrime. Gli voltò
le spalle e riprese il cammino.
James sorrise, toccato dalla
felicità.
- IO TI ASPETTO!! - gridò ancora dalla
cima della Collina Delle Farfalle e gli uccelli smisero il loro canto
per udirne un altro; ebbro d’amore.
Joanna s’arrestò
dinanzi alla porticina in ciliegio intarsiato, in alto l’iscrizione
Smith; scolorita e trista.
Sfiorò lieve una violacciocca fremente di venti, coraggiosa
ospite d’uno spaurito vaso di terracotta sul davanzale della
finestra; aprì la porta. Levò lo scialle abbandonandolo
su di una seggiola di fronte al camino, rincorò quattro rami
magri di quercia posti a stella e risvegliò la fiamma, sincera
e calda. Era una dimora povera, quella di Joanna Wagner Smith, ma la
donna la teneva pulita e gioiosa con quelle ciotole terrose di
ciclamino acceso sparse nelle tre stanze piccole, muffite e strette
ch’erano tutta l’abitazione, un pigro e vecchio gatto
fulvo riposava acciambellato su di un poggiapiedi sfondato, verde,
sovente spalancando le fauci per sbadigliare. Joanna raggiunse il
letto e nell’accostarvisi socchiuse gli occhi; strizzandoli.
Tra lenzuola e coperte del giaciglio in penombra le parve di vedere
la sagoma di un uomo che riposa stanco appresso le fatiche sui campi
e l’amore; ne tastò nell’aria l’effluvio.
Suo
marito.
Passò le dita sul cuscino ch’era stato di
lui, lo poggiò in pieno viso carezzandosi disperata,
impotente. Ondeggiò verso l’antica specchiera e spiò
il riflesso di una donna ancora molto giovane e bella nonostante le
quotidiane fatiche, il cui sguardo fiero non ammetteva pietà
ma rispetto della solitudine. Sciolse il nastro che teneva chiusa la
camicia nera e la sfilò, da un catino ferroso raccolse uno
straccetto umido e umettò il collo, lentamente le spalle, giù
fino al seno morbido, pieno, olivastro. La mano si fermò e
Joanna chiuse gli occhi nel flash di un ricordo dov’era
un’altra, la mano, che saponava carezzandola languida e dolce.
Scese una lacrima rigandole la gota e raggiunse la bocca. Joanna
lasciò cadere il pezzo di stoffa, portò le mani a
coprire gli occhi, cadde in ginocchio sul granito gelido.
Per
quanto ancora, mio Dio per
quanto? Avrebbe dovuto espiare le sue colpe?
- L’ho
sentito un’ora fa da Myrna Russell!
- Tutto ciò è
vergognoso e non mi sorprende, Margareth. Non è stata fedele
al marito quando era in vita, figuriamoci se lo è alla sua
memoria!
Linda McCouley acchiappò felina il ventaglio a
fiori ch’era solita utilizzare per semplice civetteria quando
chiacchierava con le amiche e in un solo gesto lo spalancò
davanti alla boccuccia a cuore, rosea rosea e segnata da un
sottilissimo strato di peluria scura.
Sbuffò, acconciò
sullo chignon biondo la cuffia di merletto e le guance grasse e
porporine subirono una vibrazione tachicardica.
- Elena! ELENA!
SANTA RAGAZZA…QUESTO TÈ
ARRIVA OPPURE NO?
Nel vasto salone rischiarato da un lume ad olio
fece il suo ingresso quasi saltellando per la fretta una camerierina
magra ed emaciata, già più vecchia dei suoi quindici
anni d’età. Depose sul tavolino un capiente vassoio
d’argento con tazze di fine porcellana Luigi XVI, teiera,
tovagliolini ricamati e cucchiaini rigorosamente d’argento
cesellato, un cestino con numerosi, piccoli assaggi di marmellata di
prugne, fragola e mirtilli, un ulteriore cestino con dei tranci di
cioccolato al rhum.
- Oh Signore mio! - proruppe Mrs McCouley
scambiando un’occhiata d’intesa con la comare - Elena! E
i biscotti?
- Perdoni, signora… la cuoca poco fa ha avuto
un malore e…
- Oh Sant’Iddio! Hai sentito,
Margareth?- e giù una folata di ventaglio impaziente - Se la
cuoca si fosse messa prima, a preparare i biscotti, adesso li avremmo
avuti fragranti e caldi. Come tutti i pomeriggi da che io sono la
padrona a McCouley House. E’ indecente, non credi Margareth?
-
Questa servitù così…inesperta e sfaccendata!
La
giovane cameriera abbassò la testa ed assentì.
-
Chiedo scusa, signora- mormorò, versò il tè e
servì, finalmente, padrona e comare.
- Vai nelle cucine e
portami i biscotti. Spero per voi che ora siano pronti!
La
ragazzina annuì, uscì dalla camera.
Linda McCouley
raccolse la tazza per il beccuccio addetto a tale funzione e
lasciando mignolo, anulare e medio della mano destra sollevati come
si confà ad un’autentica padrona di McCouley House
educata all’Elisabeth College; accostò la tazza alle
labbra, mareò un istante il contenuto per assorbirne meglio la
naturale fragranza e sorseggiò godendo d’ogni sorso il
suo quotidiano tè al bergamotto.
- Vedi cara - disse
fissando l’amica con occhietti sgranati e pieni - bisogna
avere il pugno di ferro, con la servitù. Sempre. Ricordalo,
quando sarai moglie e padrona!
L’altra ebbe un sussulto
isterico, portò le mani agli occhi e scoppiò a
piangere.
- Oh, no cara. Scusami! Non avrei voluto ma… Ma
cara! Hai venticinque anni, non possiamo pensare che morirai
vergine…!
L’altra pianse più forte.
- Oh,
cara! Sono imperdonabile. E-LE-NA!!! QUESTI BISCOTTI!!!
Vedrai che
dopo i biscotti ti sentirai meglio! su, su. La vita cambia, Margareth
cara su, finisci il tuo tè che mi piange il cuore, sprecare un
bene tale!
Margareth tirò su con il naso, levò un
ritaglio di stoffa candida dal corpetto e deterse le invisibili
lacrime. Sorseggiò il tè e parve rincuorarsi.
-
Dicevamo della vedova Smith… oh, quel povero capitano di
marina…che fine orribile, dilaniato dagli squali!
- Oh sì.
- Ma in merito alla vedova…oh, che Iddio mi perdoni, non posso
dirvelo!
- Cosa?- domandò Linda McCouley attendendosi
qualche golosa notizia scrutò l’amica con fare
indagatore, strabuzzando gli occhi.
-COSA?- ripetè, già
sull’orlo dell’irritazione, sia per la notizia difficile
da scucire sia per il ritardo dei biscottini da tè che oramai,
del tè, avrebbero goduto ben poco.
- L’ha vista
mentre…lo carezzava!
- Quel pazzo d’un poeta pazzo-
proruppe Miss Margareth Depp e, allungando il collo come una gallina
strozzata, arrossì suo malgrado.
- Oooooh!- fece Linda
-
Ooooh, sì - fece Margareth soddisfatta. – Dicono che lui
ogni santissimo mattino sia alla Collina ad attenderla…dicono
che ogni santissima sera lui venga in paese solo per lasciarle
davanti alla porta degli… ammassi osceni di parole. Poesie, le
chiama lui… orribili oscenità, aggiungo io.
Linda
umettò le labbra a cuore sollevando gli occhi al cielo. Poi
fissò ancora l’allegra comare da tè.
-
Interessante. Quell’Ivory è una macchia nella pace di
Writy, senza dubbio cara. Come pure la sgualdrina del capitano Smith…
ma da una mezzosangue, un’indiana, cosa ci possiamo aspettare?
- Mmmmh…Che Dio ci perdoni, Margareth cara ma… dove
lo carezzava?
James lasciò l’amata piuma d’oca
in un remoto angolo del tavolo e prendendosi la testa tra le mani
mirò aldilà della finestra. La pioggia ticchettava
sopra i vetri aritmicamente, noiosa. Tictictictic.
Da quel punto
James poteva spiare l’intero bosco, violentarlo con gli occhi.
Si alzò dallo sgabello, raggiunse la porta e la spalancò.
Una zaffata d’aria pregna di terra umida, more e felci
l’investì; l’uomo l’aspirò a pieni
polmoni. La sua casa era, per volontà degli stessi abitanti
del paese; separata dalle altre di Writy e pareva la rappresentazione
stessa del suo occupante, a spiare le quattro mura spoglie e deformi
di legna offesa dal tempo, i ciottoli e la fanghiglia; pareti
eremite. James uscì all’esterno, beandosi delle stille
fredde sui capelli e gli occhi, sollevò le braccia al cielo
cupo e gravido; plumbeo, e girò, girò su sé
stesso piano, poi più forte e furioso.
- VI…VO…
SONO VI…VOOOOOOOO!!! - ululò. E tornò indietro
nel tempo ad un campo di alte spighe di sole, gialle come l’oro,
ad un contadino misero e curvo per il peso degli attrezzi da lavoro
rovesciati sulle spalle, e, subito appresso alla prima figura, quella
di un Efebo di circa dieci anni di età; logoro e vacuo, sempre
con la stessa espressione d’innocente stupidità stampata
sul viso. Sovente gli sollevava il mento, suo padre, e sembrava quasi
un altro padre mentre glielo teneva dolce tra il pollice e l’indice,
fissandolo dritto negli occhi.
- La terra è tutto -
ripeteva, spingendolo a zappare
in quel punto che guarda il mezzodì,dove la piantina crescerà
più sana e forte. Ma quando nell’uomo riaffiorava
il ricordo della giovane moglie morta nel darlo alla luce allora
scattava l’abituale odio per quella creatura nata male portando
la disgrazia. Aveva otto anni James, come una bestia ferita annusava
l’aria quando il padre stava per dargliele sulla schiena per un
qualunque motivo; anche per la cipolla tagliata male. E quando l’aria
sapeva di botte, James si nascondeva a quattro zampe sotto il tavolo
tarlato come che lì, per qualche magico motivo, il padre non
potesse raggiungerlo. Non sapeva cos’era una scuola se non per
nome, James; roba da ricchi, diceva il padre. Una volta si era
presentato in casa il reverendo Samuel, James era accucciato davanti
ad un fuoco smilzo nella stanza che fungeva, per lui ed il padre, da
cucina e camera da letto; ed incrociava una decina di bastoncini di
legno di cedro, unendoli e separandoli, sovrapponendoli.
Dopo un
tocchettare alla porta rimasto senza risposta, il reverendo Samuel
Hewitt, un irlandese di grossa corporatura, rubicondo e calvo con la
sua bibbia stretta al petto; si era affacciato all’uscio. James
si era limitato a scrutarlo con curiosità, aveva continuato ad
incrociare i suoi bastoncini.
- Buondì- aveva detto
cordiale l’omone - tu dovresti essere James, non è così
ragazzo?-
James aveva sorriso e annuito.
-Mmmmh mmmh.
-
Posso entrare un attimo, James?
- E’ già en…tra…to,
s…s…ignore.
L’irlandese aveva passato la
lingua all’interno della guancia per non scoppiare in una delle
sue fragorose risate.
- Sei solo?
- E’ in le…legna…ia.
Il reverendo si era guardato attorno aggrottando le sopracciglia
e, senza dire altro, si era avvicinato al ragazzino. Gli aveva
scomposto la zazzera sulla testa.
- Stai costruendo una cosa molto
bella, ragazzo. E’ alta! Vuoi raggiungere il Signore, non è
così?
- Mmmmh??
- Oh, non importa. Lui sa. Lui sa
tutto e sa che stai costruendo anche per lui
James accennò
un sorriso sbieco e soddisfatto.
- Riesci ad indovinare cos’ho
qui?- aveva detto il reverendo indicando la tasca della giacca scura.
James aveva sgranato gli occhi.
- C…cos…a?
- Et
voilà. I francesi…i francesi sono gente come noi, in
gamba come noi ma che vivono molto lontano da qui. I francesi dicono
"Et voilà". Ecco qui, la mela è per te e,
ragazzo mio credimi, è la mela più grossa e bella del
mio orto!
- G…g…graz...
- Di niente, ragazzo.
Ora se mi scusi voglio andare in legnaia a parlare con tuo padre. Mi
scusi?
- Mmmh.
- Mangiala, che aspetti?
E il reverendo
strizzò l’occhiolino a James; uscì dalla
catapecchia mentre il bambino si tuffava sul frutto e poi, ancora,
sui ramoscelli di legno di cedro.
- Mr Ivory?!
Frank James
Ivory senior arrestò l’ascia a mezz’aria, si
voltò, sfidò il reverendo con occhi di tempesta
ardente, dell’ identico colore della catasta di legna alle sue
spalle.
- Cosa vuoi da me, prete? - ringhiò e sputò
da un lato, pulì bocca e barba ispida con l'avambraccio
scoperto.
Il reverendo trattenne un moto d’incosciente
ira.
- Sono qui per vostro figlio, per convincervi a mandarlo a
scuola. E’ tempo che il ragazzo studi, per il suo futuro.
-
Il ragazzo è mio e solo io decido il suo tempo. La sua scuola
è la terra.
- Ma vostra moglie avrebbe voluto…
-
Ascoltami bene, prete- l’uomo gettò rabbioso l’ascia
sulla catasta facendola traballare.
- Hai sotterrato la mia Lucy
ma finché non sotterri anche Frank Ivory sul ragazzo non metti
né mano né parola, se non vuoi vedertela con
me.
Intesi?
Il reverendo sospirò, annuì
rassegnato. L’altro raccattò l’ascia e riprese a
tagliare legna con più foga e rabbia di prima.
Samuel
Hewitt tornò sui suoi passi, entrò di soppiatto nella
catapecchia e James, che finiva in quel momento la sua mela, lo
guardò e sorrise.
- Arrivederci, ragazzo mio. Però
prima di andarmene voglio farti un altro regalo.
James aprì
le mani a coppa, il reverendo depose in quell’antro la sua
bibbia.
- So da Mrs Clara Rose che sai leggere.
- Paa…pà.
- Ti ha insegnato lui…capisco - l’uomo ammiccò
al piccolo volume in pelle nera e lucida.
- Dentro questo libro
c’è molto, ragazzo mio. La risposta a parecchie tue
domande… e rammenta che il reverendo qui presente è tuo
amico. Capisci, Games? Amico. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò.
- Mmmmh.
- Bene.
E James Ivory junior crebbe selvatico, in
completa simbiosi con la natura; crebbe imparando a sillabare il
proprio silenzio nelle
notti in cui tutto è silenzio e il silenzio è tutto
sulla Bibbia del reverendo di sangue irlandese Samuel Hewitt.
Fu
quella notte, all’improvviso e per un qualche oscuro motivo;
che Joanna si destò con l’orrore attanagliato
all’animo.
Si voltò verso i bambini addormentati
accanto a lei nel letto. Apparentemente rassicurata s’alzò
piano, rabbrividì per il freddo. Indossò soltanto un
pesante manto nero e lungo sopra la logora sottana, tirò sulla
testa il cappuccio. Attizzò il fuoco semi morto, spiò
oltre la piccola finestra il silenzio di Writy, il chiarore opaco
della falce di luna e i piccoli lumi sparpagliati attorno senza una
logica apparente ch’erano le stelle. Fu allora che udì
un grido di donna perso nel buio, talmente acuto da mozzarle il fiato
in gola e farle vibrare le membra. Un istante, e subito apparve il
fuoco di una candela nella dimora accanto a quella di Joanna, ne
venne accesa un’altra nella casa a cinque, sei passi da lì;e
poi un altra e un altra ancora. Ed ecco che, mentre il grido continua
più alto e acuto e unito al pianto; le facce sorprese, pallide
e magre e spaurite e curiose s’inquadrano nelle porte, prima
una poi l’altra poi un’altra ancora e lì ora c’è
anche Joanna inchiodata alla sua soglia con la mantella nera stretta
al seno. E dalla macchia di bosco fitto, mostruoso e nero esce il
fantasma di donna urlante e le vesti sono strappate e i capelli
sconci, collosi dal lerciume, anche il corpo di lei è un urlo
pernicioso al cielo, ferito e sanguinolento, lacrimante pietà
con quel taglio obliquo e rosso stampato in mezzo al petto. La gente
le corre incontro "Oh
signore mio non è possibile!" "… a Writy
MAI,una cosa così… il luogo più in pace di tutto
il circondario ma… ma chi è?" "Mi hanno
svegliato le urla… il dottore? DOV’E’ DOC
PERIDDIO?" "La mia serva mi ha detto che… che
succede? MA… MI SEMBRA…" e nel caos grida e
prega e grida perché c’è chi non vorrebbe
guardare e c’è chi guarda per curiosità e chi
magari vorrebbe che la vita non esistesse da quando egli stesso
esiste, se la vita è così. Ma Miss Margareth Depp ha
finito la sua corsa. Inciampa nei propri piedi e negli stracci che la
ricoprono, cade vomitando sangue, rovina in avanti sui sassi e la
terra fangosa. Mrs McCouley è la prima a raggiungerla,
caricatura di perfetta padrona della McCouley House con la
vestaglietta di prezioso chiffon francese e le scarpine di seta in
tinta. Le raccoglie il capo e accosta l’orecchio alla bocca
ch’è tutta una convulsione."James",
è il bisbiglio, Margareth rotea le pupille nello stesso
istante in cui Linda le sgrana, ed è il vuoto. Allora la
padrona perfetta della McCouley House toglie la mano da dietro il
capo esanime e si alza, le mani sui fianchi e la sfida negli occhi da
padrona. Punta l’indice in direzione del bosco e in
quell’istante, come per magia, ecco che appare James Ivory, con
l’espressione sorpresa e serena che lo contraddistingue e la
sua quotidiana poesia stretta nel pugno e pronta per essere
recapitata dinanzi alla porta di casa di Joanna Smith. Quella notte
ha finito più tardi del solito di scriverla ma c’era
così tanta confusione nel bosco e
urla che non riusciva proprio a concentrarsi. Alla fine c’è
riuscito ed eccolo lì. Non può, davvero non può,
lasciare che Joanna trascorra una mattina senza aver trovato la sua
quotidiana poesia davanti alla porta di casa. E’ un augurio di
buona giornata, pensa James, ed è felice perché sa che
lei ne sarà felice.
Linda McCouley socchiuse la bocca a
cuore e Joanna, con un brivido, comprese.
- VAI VIA JAMES! - gridò
disperata - VATTENEEEE !!!
- E’ lui!- sentenziò
Mrs McCouley a denti stretti, sicura e sprezzante. E mentre la folla
inferocita e affamata; armata di bastoni, pietre e tridenti partiva
verso il poeta; si voltò a fissare in silenzio la sgualdrina
del paese e la fulminò, le sogghignò addosso un
impronunciato ma già stabilito: "la
prossima macchia che sparirà,sarai tu".
Oddio,
cogitò Joanna e coprì occhi ed orecchie con le mani per
non sentire l’odio e il rancore del forte per il debole, ancora
urla di dolore, le frasi sconnesse, fuse quelle del lupo e
dell’agnello. Corse a serrarsi in casa. Mrs McCouley attese il
compiersi del linciaggio sentendosi viva come mai prima d’allora.
Quando la gente prese a ritirarsi esausta, ringraziò tutti con
cenno del capo ed un sorriso in
nome della povera e cara Margareth. E, all’arrivo nella
scena del giovane reverendo James Cahan, a Writy da una settimana
circa per compiere il suo mandato, sorrise cordialmente sconvolta.
-
Reverendo…c’era bisogno di voi! - chiocciò con
fare tristo ma civettuolo.
- Perdonate, perdonate santa donna…Oh
Signore mio…ch’è successo? Ero profondamente
addormentato e…oh, - - - -Signore!- gemette il reverendo
James, imprigionando il breviario nel pugno.
E non si domandò
non volle domandarsi,
Mrs McCouley, il perché di alcuni graffi vivi sul collo e la
mano destra del reverendo.
Ciò ch’era accaduto andava
bene per tutti.
E per Writy prima di tutti.
Writy* = luogo immaginario