LA MAREA
Il fiume
scendeva lento incespicando tra le rocce ben levigate che ogni tanto
s’ergevano sul pelo dell’acqua. Il cielo limpido copriva
di luce le cose, una luce brillante e invasiva che penetrava negli
occhi e nel cuore. Il silenzio di un vento ancora dormiente lambiva
gli strapiombi e giù l’oceano s’udiva, voci di
terra, antichi lamenti, un fendere di spade che ricordava battaglie,
libertà, desiderio di cambiare un mondo che era sprofondato
nell’oblio. L’erba rigogliosa oscillava appena, un
tremolio magnifico che rendeva il luogo palpitante, sembrava che quel
villaggio ai confini del mondo fosse improvvisamente divenuto un
mondo oleoso, un luogo dove il respiro della vita avrebbe nuovamente
dato vigore alle cose. Nerver si era appena svegliato, travolto da
quell’oceano di luce e silenzio. La sua casa era rimasta
miracolosamente in piedi, forse perché il fato ancora una
volta era stato benevolo con lui, o forse perché qualcuno
aveva deciso che solo un guerriero, uno solo, avesse ancora in dono
la vita.
Nerver si stiracchiò, prese la coperta e la depose
nel baule, poi s’incamminò verso la porta. L’oceano
si cullava e nuvole bianche oscillavano sopra le cime.
Tutto era
successo in un battito d’ali, l’onda assassina che aveva
invaso la spiaggia, l’orrore stampato sui volti dei pescatori
ed appresso la morte e la disperazione, il pianto dei sopravvissuti,
l’urlare muto e disperato dell’oceano che forse si era
pentito ed era rientrato, spazzando nella ritirata tutto le poche
cose sopravvissute. In un battito d’ali tutto si era dissolto
tra schiuma bianca e fetore e, l’entroterra s’era
tramutato in cimitero, un luogo orribile dove le anime appena
dipartite vagavano alla ricerca di una degna sepoltura.
Nerver
aveva osservato attonito il disastro, aveva osservato la gente
terrorizzata correre verso le colline nella speranza di sfuggire
all’immane tragedia. Poi l’onda era arrivata ancora,
ancora più alta e distruttiva e gli ultimi lamenti erano stati
spazzati via, le ultime voci s’erano come sopite e, nulla era
rimasto di vivo sull’entroterra.
L’isola era sperduta
nell’oceano, un lembo di terra quasi dimenticato dagli uomini,
lontano e inaccessibile. Nessuno nel mondo moderno avrebbe saputo
dell’immane tragedia, né aiuti o uomini in divisa
sarebbero venuti in soccorso: nulla era successo, nulla che potesse
ricordare che un gruppo di pescatori erano stati risucchiati
dall’oceano che si era tramutato in mostro, quello stesso
oceano che un attimo prima e per secoli aveva regalato alla gente
splendore e vita, sostentamento, luce e bellezza, quell’oceano
che adesso sembrava piangere di disperazione.
Nerver rimase
qualche minuto ad osservare l’orizzonte, poi ridiscese il
sentiero, piano e con il cuore in tumulto. Arrivò sulla
spiaggia dopo pochi minuti. Lo spettacolo era orribile: barche
sventrate dalla furia delle acque ed adesso aggrappate ai rami di
quercia, corpi senza vita avvolti dalla fanghiglia, pezzi di mobilio,
fotografie d’antiche esistenze spezzate, pentole: l’umanità
era stata ferita a morte, il passato e il presente adesso non avevano
più significato, né gioia si palpitava nell’aria,
mentre l’oceano d’azzurro brillava, sembrava a volte
scuotersi, somigliava ad un guerriero che umiliato, non sapeva se
chiedere perdono o invece dissolversi per la vergogna.
Le onde
spettri sembravano, spettri in ginocchio sulla spiaggia martoriata,
spettri possenti che nella preghiera e nel silenzio cercavano quel
perdono che nessuno poteva condividere, quel perdono che solo l’unico
sopravvissuto adesso percepiva.
Silenzio, questo s’udiva,
impercettibile e lamentoso, sembrava che le anime fossero ritornate
dal ventre dell’oceano, ed adesso in attesa sulla spiaggia,
cercavano qualcuno che potesse dar loro una degna sepoltura.
Nerver
chiuse gli occhi, mentre il vento cominciava a scuotere l’oceano
e una pioggia lenta già scendeva lenta dal cielo. Guardò
in fondo, oltre la scogliera l’ultimo guerriero, guardò
attentamente per cercare tracce di vita, guardò sperando di
non essere l’unico sopravvissuto, poi s’incamminò
verso la collina, sperando, sperando nella misericordia di dio, quel
dio misterioso che prime ferisce e poi desidera d’esser
perdonato. L’aria umida leggermente profumava di salsedine, e
l’olezzo degli animali sventrati dalla furia dell’onda
assassina saliva per l’aria, un fetore frammisto a rabbia e
disperazione. Nerver attesa qualche attimo e prima di rientrare in
casa si fermò sulla sommità della collina, solo,
racchiuso dentro irritanti pensieri di desolazione.
"Nerver,
Nerver!"
Lui si girò di scatto, buttando l’occhio
intorno alle cose, con le mani aperte in quel cielo pastello e la
mente irrigidita. Nerver nell’attimo non si accorse che una
lunga fila di persone dal mare proseguiva verso la collina: donne con
i volti luminosi e vecchi arzilli con le folte barbe impastate di
salsedine, e piccoli dai corpi delicati e aggraziati. Indietreggiò
Nerver, indietreggio, poi vide la moltitudine e, nel tentare di
fuggire rotolò sul fianco della collina e terminò la
sua folle corsa proprio sulla spiaggia.
"Nerver, Nerver, per
l’amore del cielo, aiutaci…" – disse con voce
fievole la donna corpulenta che adesso in piedi sostava proprio
davanti a lui.
Nerver non si perse d’animo, cercò
d’evitare la paura, consapevole che qualcosa di straordinario
era successo, certo che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Adesso non era solo, quelle strane presenze erano venute dall’oceano,
fatto alquanto insolito naturalmente, ma lui non badò alla
cosa, felice di non essere solo, felice che l’isola si
ripopolava, che l’isola avrebbe rivisto la luce, la pace,
l’amore e, nuova bellezza.
Nerver attese, si alzò e,
dopo essersi toccato le gambe e le braccia insanguinate, fece cenno
alla donna di seguirlo.
"Nerver, Nerver, allora non capisci…"
– disse la donna corpulenta, sollevando gli occhi al cielo,
forse in segno di devozione, forse ad invocare ancora la presenza di
dio.
Lui attese qualche istante, mentre il tratto di spiaggia
antistante la collina s’era già colmato e quelle strane
presenze aleggiavano come fantasmi, sembravano piccole fiammelle,
tutte pronte e in attesa di qualcosa che doveva ancora
avvenire.
Nerver si portò le mani tra i capelli, mentre un
vocio indistinto s’alzava per l’aria e molti bambini già
giocavano e scherzavano, si rincorrevano tra le onde, danzavano come
fantasmi sui relitti delle barchette martoriate dall’onda
assassina. Nerver non si perse d’animo nemmeno in quell’attimo,
anzi s’illuminò, trovò vigore e nuova energia. Il
suo desiderio era chiaro, in lui c’era la speranza che l’isola
potesse ritrovare l’antica luce, Nerver pensò che quelle
apparizioni fossero opera del destino e si convinse che non c’era
nulla di male ad assecondare anche quella voce che continuava a
comunicargli che forse stava diventato folle.
"Nerver, sei
rimasto da solo e solo tu potrai esaudire il nostro desiderio",
continuò la donna.
"Di quale desiderio parlate,
signora?" – disse lui, felice per un verso, dall’altro
terrorizzato dalla stranezza dell’evento.
Sulla spiaggia il
vespero adesso s’agitava, tra le onde aggraziate invece il
vento si era insinuato e aquiloni d’ombra già solcavano
quel cielo azzurro e maestoso. C’era quiete intorno alle cose e
si palpitava preghiera e perdono, amore tra la terra fangosa, oltre
la collina, sui legni delle barche sventrate, dentro i sorrisi lievi
di quelle strane presenze spuntate dall’oceano.
Nerver
attese prima di prendere una decisione, anche se non intuì
quale desiderio doveva esaudire, non capì all’istante la
natura di quelle presenze che adesso sostavano come foglie
accarezzate dal vento sulla spiaggia e che sembravano a volte onde, a
volte fantasmi e nell’attimo seguente di tramutavano in
essenza, sparivano per riapparire ancora, immateriali e altere come i
fuochi fatui. Nerver non si perse d’animo, sbuffò un
paio di volte poi s’incamminò spedito verso la
collina.
"Nerver, Nerver, non puoi andare senza di noi, non
puoi lasciarci marcire sulla spiaggia: noi abbiamo bisogno del tuo
aiuto, sei l’unico sopravvissuto e solo tu potrai aiutarci,
solo tu, mio caro…"
Nerver continuò a
camminare, continuò a scalare lo stretto sentiero che
s’arrampicava fino all’abitazione, ogni tanto si voltava
nella speranza che quelle presenze sparissero, oramai certo che
quella catastrofe aveva segnato il suo animo. Si convinse d’esser
folle Nerver e prima d’aprire la porta, girandosi, osservò
con molta attenzione la spiaggia, liberò l’anima nel
vento e attese che quelle presenze salissero verso la collina,
salissero a cercare pace e degna sepoltura. Nulla avvenne e Nerver
s’introdusse in casa, sollevò la pesante coperta e
s’infilò vestito sotto le lenzuola.
Il vento s’era
fatto impetuoso e la capanna traballava, tutto sembrava avvolto da
una coltre di mistero all’esterno; Nerver attese, madido di
sudore, attese che qualcuno bussasse alla porta, attese il viso cereo
della signora corpulenta, forse attese che anche la morte bussasse
alla porta.
Passò il tempo, giorni e giorni tutti uguali,
il solito vento ad agitar gli steli, la stessa luna a brillare tra le
onde dell’oceano, lo stesso respiro a stendersi sulle cose e
Nerver ad aspettare, sempre, che qualcuno finalmente bussasse alla
sua porta. Passarono gli anni e Nerver divenne vecchio, passarono i
gabbiani varie volte e lui osservò stupito il loro volo,
osservò l’isola mutare aspetto, le foglie rinverdire, la
scogliera proiettare luce sulla collina, e lui ad invecchiare sempre
in attesa che qualcuno bussasse a quella porta. Nerver attese invano,
giorni e giorni, interi pomeriggi a cercare tra le barche, mattini e
mattini a lavorare per rimettere ordine nell’isola smarrita in
quell’oceano sconfinato. Prima d’invecchiare Nerver portò
a termine la sua missione, esaudì nel tempo il desiderio delle
anime, mentre l’oceano osservava quasi commosso da tanta
smisurata passione. Nerver morì una mattina di novembre,
mentre un sole pallido s’alzava dall’oceano e una pioggia
insistente martoriava la spiaggia. Quel giorno, proprio quel giorno
di novembre i soccorsi arrivarono, vennero uomini in divisa a
cercare, ma nulla trovarono. Solamente dopo attente perlustrazioni e
dopo molti giorni di duro lavoro, una notte e quasi per caso videro
un uomo leggero aggirarsi nel piccolo cimitero.
L’uomo
vestito di bianco, vagava come spettro tra le tombe, accendeva
fiammelle, portava fiori e immetteva acqua pulita nei vasi.
Il
dottor Ikoto incuriosito dello strano fenomeno, una sera s’appostò
oltre il basso muro di cinta del piccolo cimitero, poi attese che
l’uomo apparisse.
Nerver arrivò con passo leggiadro,
arrivò quasi danzando, s’inginocchiò ad ogni
tomba e in ogni tomba portò fiori e speranza, in ogni sorriso
passato depose un fiore, in ogni lacrima antica rivide l’anima
dell’isola, mentre il silenzio aleggiava e una luna lieve si
cullava, oltre le nuvole, nuvole bianche che profumavano
d’eternità.
Il dotto Ikoto attese ancora qualche
istante, poi inchinandosi riprese la via dell’accampamento.
"Allora,
dottor Ikoto, avete visto qualcosa di strano al piccolo cimitero?"
– chiese il tenente, vedendolo rientrare.
"Nulla,
signore. Nulla d’inconsueto", rispose Ikoto,
pensieroso.
Se vi capita di smarrire la rotta, o se una notte
sognerete una piccola isola smarrita nell’oceano, sbarcate
idealmente sulla rive e con passo lesto, la notte, proseguite oltre
la collina, proseguite e, poi fermatevi al piccolo cimitero.
Nerver
arriverà con i suoi mazzi di fiori, ad accarezzar le lacrime
di un tempo, a portare conforto, sosterà per un’ora
intera nel piccolo cimitero, s’inchinerà ad ogni tomba e
se voi allora penserete d’aver visto un fantasma, subito
dovrete cambiare idea. Nerver non è uno spettro, Nerver è
il guardiano, il custode dell’anima, e del suo tempo.
Antonio
Messina,
gennaio 2005.