LA MAGA GIULIA

 

Oltre i nostri limiti sono possibili esistenze parallele in concatenazioni spazio temporali trapassate.

Gli eventi straordinari ebbero inizio con la telefonata di Giovanni, mio amico e collega del terzo anno. Avevamo preparato insieme l’esame di chimica organica, superato il quale avevamo attaccato con quello di fisica.
Dopo questo esame si erano allentati i ponti. Ero stato più io a non cercarlo per u n po’. Avevo un ritmo diverso dal suo. Sebbene del terzo anno di medicina, avevo già due esami nel libretto più di lui. Avevamo un ritmo diverso di studio forse perché lui straricco ed io stra…povero. Le tentazioni della vita e della gioventù si sa, arridono ai ricchi. Quando s’impegnava però studiava sul serio. Sospettavo che si facesse raccomandare almeno negli esami più difficili, ma erano supposizioni senza prove.
Quella sera di metà febbraio mi telefonò verso le cinque. Dopo i saluti di rito, mi disse trionfante:
"Giuseppe, tieniti pronto per il fine settimana."
"Perché che c’è questo fine settimana, un bel film?"
Avevamo visto insieme una ventina di giorni prima L’ultimo tango a Parigi con Marlon Brando in un locale che proiettava vecchi film degli anni Settanta e Sessanta. Revaivals.
"Niente film. Usciamo con due belle amiche. Una la bionda è per me…"
"E dove andiamo… chi sono?"
"Sono brave ragazze. Sono mie paesane, cioè di un paese vicino al mio e fanno tutte e due il secondo anno di Farmacia."
"Ma io devo studiare, voglio dare Fisiologia Uno per la sezione di maggio."
"Un sabato pomeriggio saltato sui libri non fa male… anzi…"
"E dove le porteremmo?"
"Interrogatorio di primo grado. Andiamo a ballare in un locale di Agnano. Conosci I Damiani?"
"Ne ho sentito parlare. Dicono che è un circolo dove si mangia e dopo una certa ora si balla."
"Giusto. Ci andremo sabato. Fatti trovare sotto casa per le cinque del pomeriggio. Ti vengo a prendere con la mia macchina. Bene?"
"Giovanni, ma io non posso permettermi di pagare una cena per due persone: per me e quella ragazza che hai intenzione di presentarmi…"
"Giuseppe, non rovinarmi il sabato con le tue lagnanze."
"Puoi rivolgerti a qualcun altro… io ho da studiare, te l’ho detto. Mi fai saltare l’esame di fisiologia a maggio."
"Vabbé, lo sapevo. Pagherò io per tutti. Dove lo trovo un altro libero il sabato pomeriggio. Solo tu sei solo come…"
Voleva dire solo come un cane.
Chiesi alla signora dove stavo con la camera in fitto di potermi fare la doccia il sabato verso le 15. Era una eccezione. La signora disse di sì e disse che sarebbe stata la prima ed ultima volta. Se volevo farmi la doccia, avrei dovuta farla il sabato mattina, non di pomeriggio e dovevo pagare una aggiunta alla pigione.
Alle due mi profumai e misi il borotalco sotto le ascelle. Avevo le scarpe nuove marrone chiaro con i tacchi un po’ alti ed un vestito di lana pronto per le grandi evenienze come quando uno deve dare gli esami nella sezione straordinaria di febbraio. Verso le quattro mi sarei sbarbato così verso le cinque ero bello e pronto per uscire con Giovanni e le due ragazze. Chissà come doveva essere la mia. Di sicuro bruna visto che la bionda era riservata a lui. Se fosse stata racchia ci sarei rimasto male e non gli avrei più telefonato. Gli amici sono buoni fino ad un certo punto. Se devi solo dare senza ricevere niente, allora è meglio stare soli.
Quel giorno fin dalla mattina, non avevo combinato niente coi libri. Avevo chiuso il librone di fisiologia ed avevo pensato a come vestirmi, piluccarmi e poi ero uscito per un caffè al bar. Ero euforico forse perché pensavo continuamente a come sarebbe stato l’incontro con le ragazze. La tazzina di caffè al bar mi mise ancora più pepe. Quel giorno avevo stravolto le mie abitudini. La mattina mi alzavo alle sei per studiare fino alle dieci. Breve pausa con caffè ed una sigaretta e poi di nuovo studio fino alle dodici e trenta. Lunga pausa durante la quale andavo a mensa e mi vedevo con alcuni colleghi coi quali scambiavo concetti e quesiti sull’esame che ci stavamo preparando e impressioni sul prof. se era buono o stronzo all’esame. Ritorno a casa nella mia camera in affitto al quarto piano di quel palazzo ottocentesco. Siesta durante la quale dormivo per circa una ora e riattacco con lo studio fino alle 19,30. Quindi mensa, breve passeggiata coi colleghi e ritorno in camera a ripetere e poi dormita.
Quel sabato non avevo combinato niente di tutto ciò. I programmi stravolti dall’uscita in pomeriggio con Giovanni e le sue ragazze (una era per me). Nell’attesa potevo chiudermi in cesso e farmi una sega liberatoria, ma avrei dato troppa importanza a quelle due con le quali tra poche ore Giovanni ed io saremmo usciti. Potevo farmi una sega su qualche collega non fidanzata che vedevo a volte a mensa o a lezione, ma meglio di no. Meglio concentrarsi sull’aspetto. Mi guardai spesso allo specchio cercando di prevenire le impressioni di quelle due su di me. La barba adesso rasata, la pelle liscia, il colore degli occhi, le labbra…dovevo piacere. Non ero ricco come il mio amico, ma fisicamente non ero da meno. Alle donne piacciono i soldi… pazienza, vedremo stasera. Per la precisione io ero povero e Giovanni ricco di famiglia. Ricchezza secolare. Pensai con sadismo: anche l’uomo più first può perdere.

Piacere Giuseppe. Questo avrei detto alle due appena la macchina di Giovanni avrebbe affiancato il marciapiede dove li stavo aspettando. Ero tosto e trepidante come un eroe omerico, facciamo Achille, anzi meglio Ettore che aveva moglie e prole. Mancava mezz’ora alle cinque e masticavo già gomme sugar free alla fermata del bus che era il posto stabilito per l’appuntamento. Verso le cinque meno dieci, se non li vedevo arrivare avrei sprecato una buona telefonata dal cellulare.
La citröen C3 rosso amaranto, motore 1400, modello 2005, apparve in fondo alla strada in salita. Finalmente. La macchina rallentò avvicinandosi a dove ero io impalato. A quasi dieci metri da me, attraverso i vetri scorsi la faccia ridente di Giovanni e affianco la bella amica che mi sembrò davvero bella come me l’aspettavo. Gli sportelli si aprirono ed uscirono in tre tutti con la mano tesa e sorridenti.

"Piacere Giuseppe."
"Piacere Anna, piacere Giulia." La prima era la bionda seduta al posto di comando affianco a Giovanni, la bruna era Giulia. Entrambe più alte di me di qualche centimetro. La mia mano calda e le loro compresa quella di Giovanni, più o meno fredde. Le più gelate erano le dita di Giulia. Bene, si vedeva che era emozionata. Più di me. Cominciava ad imbrunire. Dissi tanto per dire:
"Vogliamo prendere un bel caffè al bar qui di fronte?"
Giovanni mi bloccò: "Lascia perdere. Ho la macchina nuova di zecca con lo stereo. Qui se la rubano all’istante. Ci prenderemo il caffè in Via Orazio. Ce lo prendiamo al Mood un bel caffè espresso."
Dissi: "Me l’aspettavo colore tamarro."
Nessuno aveva capito. Dissi:
"La nuova macchina di Giovanni. Invece che blu notte, me l’aspettavo colore tamarro."
Disse Giovanni: "Gusti barbari. Il colore tamarro va per le decappottabili."
Incassai per la seconda volta: due a zero per lui.
Il Mood per chi non lo sapesse è un moderno cubo di vetro con terrazza e vasi di fiori che danno sull’azzurrità del Golfo. Da un lato si vede il Vesuvio carnicino, di fronte Capri e la penisola sorrentina e dall’altro lato Ischia. Nel cubo di vetro c’è un ampio spazio riservato alla Mediateca di San Gennaro. Ci ero andato due volte sempre con Giovanni. E con chi se no.
C’era scarso traffico, ma molti semafori. Disse Giovanni verso di me:
"Nessuno m’insulta neanche quando traccheggio col verde."
Disse Anna: "Hanno troppo rispetto per la tua nuova macchina."
Rettificai: "Non c’è nessuno dietro. Per questo nessuno traccheggia."
Risero. Avevo segnato un gol a mio favore: due a uno. Seduti in macchina ebbi modo di squadrare Giulia che per la serata era destinata a me. L’altra, la bionda era un tipino niente male, piuttosto magra, naso diritto, fronte arcuata e zizze toste. Anche la mia non era da buttare, anzi a guardare bene mi piaceva. E a guardare meglio, non era niente male, forse meglio dell’altra. Le cosce anche se non gliele avevo viste bene durante i brevi attimi della presentazione, dovevano essere diritte. Mi piaceva in particolare la linea del mento leggermente inclinata a formare un angolo acuto col collo. Mi spiego. Se questo profilo mentoniero è troppo inclinato in basso allora non mi piace perché si forma ciò che a Napoli è detta la sguenzera che sarebbe una specie di prominenza come una proboscide, tipo Totò. Se invece volge leggermente in basso allora mi arrapo assai. Per essere più chiaro, è un profilo tipo la bella ragazza testimonial a pagina 29 che fa la propaganda della marca Baume and Mercier sulla rivista IO DONNA di sabato 13 novembre del corrente anno, oppure la faccia di Anna Bonaiuto non so se la tenete presente la cui capigliatura scura a doppia banda e riga centrale è anche similare a quella di Giulia. Per questo, la faccia di Giulia mi piacque là per là. Il fatto che fosse bruna come me, me la rendeva più arrapante, non so perché. La chiave di volta per la mia simpatia era la linea del mento, passato l’esame, il resto era secondario per modo di dire. Attributi secondari dovevano essere le gambe abbastanza lunghe e diritte, la caviglia sfilata, il corpo magro e le zizze toste. Optional: labbra carnose, occhi chiari, fronte arcuata, denti diritti e sorriso pieno di malizia. In macchina s’erano tolte il cappotto. Quella di Giovanni aveva pantalone attillato con risvolto e un bel maglione rosa contornato da una lunga sciarpa scozzese di certo di marca a Via dei Mille. Nel controluce della carreggiata, con la sciarpa pendula a giro collo, era somigliante nel viso, nell’atteggiamento e in altro a Cameron Diaz. "You are like her."
Glielo avevo detto da dietro. Giovanni e Anna non avevano capito ed era logico. Allora avevo spiegato:
"Anna somiglia a Cameron Diaz, tutto glamour e sex appeal."
"Grazie."
Giovanni si vedeva che era inorgoglito per la bella conquista accanto.
La mia aveva abiti comuni, una gonna a pieghe un po’ sopra le ginocchia, una maglietta scura alla dolce vita e sopra una camicia bianca che pareva di cotone. Roba comprata al mercato della Duchesca per pochi euro. Anche gli stivaletti fino al basso stinco, di montone con bordo rovesciato, perfetti in un clima polare, erano venduti sulle bancarelle del Lavinajo a sud della Duchesca a due, tre euro.
Nella parte anteriore della macchina c’erano i ricchi, nel vano posteriore noi due, uno più morto di fame dell’altro. Accoppiata vincente! Ripensai con sadismo: anche i first possono perdere.
Premesso che non fosse fidanzata, cominciò la mia scarica di domande indiscrete dirette a Giulia. Domande solite fatte anche ad altre che conoscevo alla mensa universitaria:
"A che anno stai? Dove abiti qui a Napoli, sei di Napoli?"
"Sono di un paese della provincia di Caserta, il paese è Caiazzo. Lo conosci?"
"Ne ho sentito parlare. C’è anche una specie di lago lì vicino."
"Sì, un lago che d’estate si prosciuga quasi tutto. Abito cogli zii. I miei genitori sono morti tre anni fa in un incidente d’auto."
Questo fatto la incupì. Intervenne l’altra che disse ad alta voce per farmi sentire:
"Siamo dello stesso paese e sudiamo insieme qui a Napoli. Io ho affittato un appartamentino dalle parti dei Sedili di Porto. Lei invece sta con gli zii che abitano anche loro da quelle parti…"
Dissi: "Quei vicoli vicino Via Mezzo Cannone? Ma come fate ad arrivare ai Camaldoli per seguire i corsi. La Facoltà di Farmacia è lontana da dove state voi."
"Seguiamo alcune materie, non tutte. Comunque siamo in regola con gli esami."
Attaccò Giovanni: "Giuseppe, a proposito quand’è che ci prepariamo un altro esame insieme? "
Visto che aveva pagato lui il caffè e che forse avrebbe sborsato anche per l’entrata nel club e tutto il resto, fui cauto: "Quando vuoi possiamo studiare insieme. Adesso sto studiando fisiologia che voglio dare per la sessione di maggio."
"Possiamo prepararci qualche complementare insieme, che dici?"
"Potremmo studiare embriologia e darlo a giugno."
"Ottima idea. Quando attacchiamo?"
"Per preparare embriologia ci vuole massimo un mese, un mese a mezzo. Possiamo iniziare ai primi di giugno dopo che ho dato fisiologia e dare embriologia ai primi di luglio. Va bene?"
"Giusto."
Preso il caffè nel bar in Via Orazio e gustato il paesaggio del Golfo, Anna ci mise in guardia su alcuni risvolti di Giulia. Lo disse scherzando:
"Giulia è di idee un po’ osé. Sostiene che l’America di oggi è colpevole dell’odio innescato tra i popoli e religioni dopo l’11 settembre. L’11 settembre è stato generato dalla mancanza di dialogo… poi è anche una medium…"
Giovanni la interrogò: "Sei forse comunista di vecchio stampo?"
"Anna esagera. Sta scherzando sulle mie idee politiche e sulle mie doti medianiche. Ogni tanto ci scambiamo delle battute, tra amiche…"
Giovanni seduto come un monarca disse: "Giuseppe invece conosce tutto della moda femminile. Commenta le sfilate come un vero presentatore di moda…"
Una delle due chiese: "In che senso?"
"Nel senso che fa come chi imita uno che presenta sfilate alla moda ed elenca tutti i particolari dei vestiti che portano le modelle. Lui vede modelle vestite dappertutto."
Rettificai: "Leggo riviste."
Giovanni con malizia: "Femminili… legge riviste femminili."
Io, evitando gli sguardi indagatori:
"Leggo ogni tipo di rivista comprese quelle usate che prelevo dal barbiere. Sapete invece come passa il tempo Giovanni? Lo posso dire?"
"Non ne abbiamo idea."
La mia domanda rivolta a Giovanni: "Lo posso dire?"
La sua risposta strafottente: "E che fa. Dillo pure, che c’è di strano?"
"Si va a vedere i film di Tinto Brass."
Anna dovette dire la sua a conclusione del battibecco:
"Certo che voi due andate proprio bene insieme. Uno legge riviste femminili e l’altro vede i film di quel porco…"
Giovanni dovette dire per forza: "Non è vero, scherzavamo. Siamo persone serie. Modestamente."

Ritorno in macchina. C’erano polverose ventate per l’aria e sull’asfalto. La Citroen C3 ci aspettava paziente all’interno delle strisce blu. Avevo sbirciato le sue gambe: diritte. Bene. Io affiancavo Giulia e Giovanni l’altra. Marcamento stretto. Gli stivaletti con risvolto davano a Giulia una sexy falcata. Nell’entrare in abitacolo Giovanni disse ad Anna:
"Quei militari ti stanno lumando."
"Lumano la macchina, non me."

Quando partimmo le tre reclute dell’Annunziatella ci fecero un gentile saluto.

I maglioni alla dolce vita, gli stivaletti, i calzoni con risvolto e la gonna con le pieghe sui ginocchi mi fecero capire che erano tutte e due più o meno consapevoli del Pretty style. A Napoli le giovani in particolare, vogliono rappresentare una sorta di hardware di quel look così perbenino ispirato al guardaroba adottato dalle università chic americane, la Ivy League, una rosa di otto atenei illustri da Harvard a Princeton. Il Pretty style fece strage di proseliti negli States anni Settanta e soggiogò il Vecchio Continente nel decennio successivo, influenzando il modo di vivere dei giovanissimi. Vedendo quelle due pensai che fosse lo stesso adesso. La macchina (o il guidatore) per fortuna scartò con eleganza frontali, scarpate, ospedalizzazioni. Sono pessimista per natura e temo spesso le ospedalizzazioni: se si va in macchina, se si mangia troppo, se si beve troppo. Accenni d’ipocondria.
Verso Agnano si vedevano squarci di campagna brulla. Ricordai gli odori di bosco e di vigna di quando mio padre mi portava nella sua macchina su per i campi. Usciti dalla tangenziale la macchina prese in direzione nord. C’era una grossa pozzanghera che Giovanni attraversò a velocità schizzando fango e acqua intorno. Uno ai bordi della strada gridò, penso:
"Uomo di merda!"
Dissi: "Giovanni quell’uomo sul marciapiedi c’è l’ha con te."
Giovanni disse: "Pazienza!"

Arrivammo nel club che era già buio. Cenammo. Avremmo dopo cena ballato a luci soffuse. Giovanni mi disse in un orecchio:
"Non ti preoccupare, pago tutto io dopo."
La frase mi rasserenò liberando in me estro ed eloquio. Se avessi diviso le spese con Giovanni sarei stato costretto a chiedere ai miei genitori un contributo mensile extra, difficile da giustificare.
Andammo a sederci ad un basso tavolino di fianco alla grande brace che dava calore naturale all’ambiente. Dall’altro lato c’era la lucida pedana per il ballo. Per l’alcool o per la digestione serale eravamo tutti e quattro rossi in faccia. Giulia mi piaceva e stava sconvolgendo tutti i miei piani futuri: fidanzamento ed eventuale matrimonio dopo la laurea. Idem per le grandi scopate ed eiaculazioni a scopo procreativo. Invece se mi ci fidanzavo adesso, se lei ci stava e mi diceva di sì, avremmo avuto insieme una lunga vita sessuale prematrimoniale e lunghe stasi di studio.

Evitammo tutti e quattro per un tacito accordo di parlare di studio, di libri e di prof. stronzi per l’intera serata al club. Ballammo sfrenati alle luci psichedeliche. La mia attenzione era per Giulia che continuavo a marcare stretto. Quando ballammo lo slow ce l’avevo duro e bagnato in punta. Ancora un po’ ed eiaculavo nei calzoni. Le tastai i fianchi sfuggenti e sentii il suo seno tosto pungermi il petto. Che scopate fenomenali ci saremmo fatti se fossimo stati fidanzati. Uno di fronte all’altro, stretti con la sua mano nella mia sul petto, ci dondolavamo come bimbi mentre Peppino di Capri cantava "Sciampagna".
Grandi scopate , se solo fossimo stati fidanzati.
Magna cum scopata. Al presente ce l’avevo duro come una canna e un altro poco mi sarebbe scoppiato con tutte le pudende. Il suo sesso vicinissimo al mio e tuttavia evitavo di appoggiarle la verga del cazzo sul ventre. Sarebbe stato troppo. Avrei offeso il suo pudore vero o falso che fosse. Il DJ aveva inserito un rock.
Lame di luce taglienti su viso e capelli mi rendevano innaturale la sua bellezza. Se sollevava ed agitava le mani sopra di sé era davvero come invasata. In realtà seguiva il ritmo frenetico della musica rock. Era come una selvaggia isolata dal mondo ed immersa in una nuvola di musica frenetica. Era Salomé: Salomé danza, ripeteva Erode. Ci fu la successiva canzone lenta e appassionata. Andammo ad acquattarci dopo il lento – lo slow - al solito posto. Giovanni e l’altra erano spariti, forse stavano in giardino, ma con quel freddo. Forse erano su, nell’altra sala. Dissi a bruciapelo: "Sei molto bella."
Risposta scontata: "Grazie."
Tenete presente Jessica Biel? Però coi capelli nero corvini? Ebbene era Giulia. Jessica Biel: un mix esplosivo. Jessica Biel deve bellezza e labbra carnose, occhi sognanti e ciglia arcuate al suo sangue tedesco, francese, inglese e pellerossa (tribù Choctaw). Così Giulia doveva la sua selvaggia bellezza ad un mix di tribù gotiche e italiche avvenuto di certo dopo la caduta dell’Impero Romano di Occidente.
"Sei mai stata fidanzata?"
"No. Con tutto quello che mi è capitato, coi miei genitori morti tre anni fa… chi ci pensa più a queste cose."
"La vita continua."
Dovevo farmi dare il suo numero di telefono. Se me lo dava era fatta al 90%.
"Puoi darmi il tuo numero di telefono? Vorrei chiamarti in settimana."
"Dopo te lo do. Se vuoi puoi passare la notte con me, non per fare certe cose, ma per farmi compagnia… i miei zii sono partiti e torneranno lunedì. Sono andati a Roma a trovare la figlia."
"Va bene. Ci sto. Mi piace stare con te."
Azzardai a darle un bacio sulla guancia. Si ritrasse:
"Ma che pensi!… Te l’ho detto. Devi farmi compagnia. Non mi va di stare a casa da sola di notte."
"Potrebbe farti compagnia Anna."
"Gliel’ho già chiesto, ma non può. Forse quei due si sono fidanzati e staranno insieme da qualche parte dopo che avranno scaricato noi al ritorno."
"O.K. Hai almeno un buon letto per me. Non è che avrò freddo tutta la notte."
"Non ti preoccupare, ci sono i riscaldamenti. C’è un solo problema."
Lo sapevo. Quale sarebbe questo problema, oltre a non voler baci da me?
"Anna dice che sono una medium. Hai paura dei fantasmi?"
"Non me ne importa. Non ho mai avuto paura del buio. Ma dici sul serio?"
"Forse per questo Anna non mi vuole fare compagnia stanotte. Una volta ha assistito ad una mia seduta spiritica e se l’è fatta sotto."
"Caspita."
"Però non è vero che ho doti medianiche, non ho di questi poteri. Tra amiche giochiamo alle sedute spiritiche. Io dico che non succede niente, alcune tra cui Anna dicono che qualcosa accade. Alcune sono convinte che qualcosa di ultraterreno esiste e che può manifestarsi in una seduta spiritica. Stronzate."
"Caspita… sei una medium… non è che sei pericolosa?"
"Non ho mai fatto male a nessuno."
Mi piaceva troppo e mi faceva arrapare bastava che parlasse. Poteva far apparire i fantasmi anche a letto, non me ne fotteva. Anzi, arrapato come sono, mi sarei fottuto anche i fantasmi… uno ad uno.
Giovanni e l’altra tornarono da noi verso le tre poco prima che il locale chiudesse. Erano rossi, sudaticci e sfatti come se avessero più volte scopato da qualche parte. Senza sedersi Giovanni disse: "Allora che si fa, ce ne andiamo?"
Fuori era scesa la nebbia con freddo pungente che stagnava nella cupa notte. La città finalmente taceva ed il posto era innaturale, solitario, visto l’affluenza di macchine dalla tangenziale il mattino.
In macchina dissi a Giovanni che mi sarei trattenuto per la notte a casa di Giulia, cioè a casa degli zii di Giulia. La risposta di Giovanni con strizzatine d’occhio:
"Bene."
Scendemmo con un freddo tagliente. Per fortuna non c’era vento. Io e lei, lei davanti, salimmo in fretta la consunta rampa di scale senza ascensore e con un vecchio lume sbilenco ad ogni ballatoio. Aprì in fretta la porta e dopo un lungo e stretto corridoio m’introdusse nella sua camera. A luce accesa si vedeva che era una grossa stanza con la volta concava come si usava un secolo fa e un grosso lampadario di cristallo pendulo nel centro. In fondo sotto il muro c’era il suo letto ben fatto, più in là le tendine ed il balcone sul vicolo, la scrivania di rimpetto ed un mobiletto tipo libreria pieno di volumi consunti o fotocopiati per gli esami di farmacologia. C’erano delle sedie e poi un armadietto per i vestiti e le scarpe. Al muro uno specchio rettangolare tipo quadro ad olio in cui c’entrava si e no la faccia.
"Questa è la tua camera?"
"Perché, non si vede?"
Sulla parete c’erano poster per lo più in bianco e nero: Janis nuda che guarda seria l’obiettivo di Bob Seidman. Siamo nel 1967 e lei aveva un po’ di più di Giulia, cioè 24 anni. Come lo so che aveva quell’età? So quando nacque Janis. Alla sinistra il poster di Jimi Hendrix durante un concerto ad Hollywood sempre nel 1967. Morirà tre anni dopo in una stanza d’albergo a Londra. A destra tanto per cambiare, il ritratto di Jim Morrison, il leader dei Doors scomparso nel 1971. A fianco il primo piano come anima in pena, di Kurt Cobain dei Nirvana che morì nel 1994. Suicidio disse la polizia. Sul muro invece sopra la scrivania c’era un ritratto inusuale: una donna danzante seminuda in mezzo ad una schiera di legionari romani. La danzatrice mi turbò. Guardai meglio, portando gli occhi sul poster:
"Ma questa ti somiglia. Ma, questa sei tu. Alta, magra, carina, scura di capelli. O sei tu o una tua sosia, o hai una sorella monoculare. "
" Grazie per avermi dato dell’alta, magra e carina."
"E scura di capelli."
"E’ un macchilage. Un assemblaggio di diverse foto. Un mio amico fotografo, ha fatto questa composizione estemporanea, l’ha ingrandita e me l’ha regalata."
"Questo fotografo è stato tuo fidanzato?"
Da intendere: questo fotografo ti ha fottuto, ti ha sverginato, ha fatto l’amore con te, te l’ha rotta?
Sono un tipo geloso e mi stavo innamorando cotto di lei.
"No, solo un amico. Gli ho fatto un favore. Gli ho compilato i moduli per l’iscrizione all’università della figlia e ho fatto la fila in segreteria per presentare la documentazione. Ecco tutto. Adesso dormiamo. Porto di qua la branda per dormirci sopra. Niente scherzi. Hai promesso che non mi salterai addosso. Bada, faccio sul serio."
"Mantengo ciò che prometto."
"Dillo, altrimenti ti preparo il letto nell’altra stanza quella che i miei zii tengono riservata per i figli della figlia quando vengono qui."
"Andiamo a prendere la branda e mettiamola qui."
Posizionammo la branda prelevata dal ripostiglio all’altro lato della stanza. Tra il mio lettino ed il suo c’era una distanza di quasi dieci metri vista la maledetta ampiezza della stanza che sembrava più un salone di altri tempi.
Impetrai giustamente: "Però almeno, un bacio ce lo dobbiamo dare. Il bacio della buona notte."
"Va bene, però così, vestiti, prima di spogliarci."
"Sulla guancia o sulle labbra?"
"Scegli tu."
Non mi feci scappare l’occasione. Le mollai un gran bel bacio sulle labbra carnose, succhiai lentamente il suo labbro inferiore come si succhia una pesca matura. Mi lasciò fare. Alla fine si allontanò.
"Adesso dormiamo. Vado in bagno o ci vai prima tu?"
"Prego."
"Tu nel frattempo spogliati e mettiti a letto. Nel tuo letto. Te l’ho detto, non facciamo scherzi. Lo hai promesso."
"Bene. A che ora ci alzeremo domani?"
"Possiamo dormire a volontà. Domani è domenica e gli zii arriveranno il lunedì in tarda mattinata."
Quando avrebbe spento la luce per dormire avrei potuto farmi una sega liberatoria per mettere a dormire il cazzo ribelle e abbassare la concentrazione di Ht – la serotonina – nel cervello . Era troppo duro e mi facevano male i testicoli. Però temevo di passare per un maniaco. La branda strideva se mi muovevo troppo e farsi una sega in quelle condizioni avrebbe svegliato chiunque. Pazienza bisognava dormire. Prima però andare in cesso a liberarsi di tutti quei liquidi immagazzinati al club.
Ci fu lo scarico che riempì il vuoto della casa. Dopo un po’ era rientrata in camera in pigiama.
"Adesso, se vuoi puoi andare alla toualette."
"Bene."
Urinato e liberatomi di alcuni gas senza far rumore, mi guardai allo specchio. Niente male tranne i capelli arruffati ed il cazzo che non voleva ammosciarsi. Termine tecnico: membro virile inammosciabile ed intrattabile.
"Buonanotte."
"Buonanotte."
Stranamente presi sonno quasi subito. Forse la digestione o il trambusto del ballo inoltrato fino a tarda notte, non so.
Ebbi uno strano sogno che al mattino ricordai per intero. Un sogno tra l‘erotico e l’incubo. Influenzato da quello strano poster sui legionari, mi parve di udire ben distinta una voce altisonante che avvertiva perentoria:
"AVE, straniero o barbaro che tu sia, ricorda: il sogno provenire dal sommo Giove, il padre degli dei: che da Giove anche il sogno procede…Come Omero al verso 84 dell’Iliade nel canto primo dice."
Nel sogno mi sembrò che ascoltassi come un muto spettatore. Lei proseguì:
"Straniero o barbaro di certo dagli dei protetto se le mie parole ascolti. Bene. Ricorda anche questa verità fondamentale: né lo spazio, né il tempo e neanche lo spazio-tempo hanno esistenza primitiva. Essi appartengono alla realtà empirica e sono modi della nostra sensibilità, del nostro modo di vedere le cose e di pensare."
Adesso nel sogno strambo appare Giulia in pigiama che dice calma:
"Assisterai ad uno squarcio di guerra giudaica tra truppe romane al comando di Vespasiano e gli abitanti della Palestina di allora. Io ti parlo risorta dall’abisso dei tempi e parlo con la mia voce. Grande fu la mia vita che mai più ritornerà. Parlo come se fossi Cassandra riemersa dalle nebbie dei secoli, parlo come se fossi Elena la bella, o come Cleopatra la grande regina. O dei eterni, datemi la forza di reggere alla visione. Datemi la forza di leggere la Storia e di guardarne il mostruoso volto. Adesso vedo quel giorno."
Cambiando tono di voce, eccola a descrivere con pacatezza la scena:
"Le truppe giudaiche prese dal panico per la carneficina e messe in fuga, indietreggiano verso la porta da dove erano uscite. I Romani l’inseguono. Gli abitanti della città terrorizzati si sono affrettati a chiudere le porte della cerchia muraria interna. I Galilei rimasti fuori la cerchia muraria dopo breve resistenza lasciano la via libera ai Romani che in un modo o nell'altro fanno irruzione in città subito arsa tra grida disperate. La maggior parte degli abitanti trucidata sul posto. Dopo alcune ore al tramonto, i Romani hanno compiuto l'opera distruttrice e non si ode alcun lamento dalla città fumante. I morti trucidati dai Romani circa quindicimila, gettati in un incavo davanti alle mura. Solo trecento tra donne e bambini, ammassati nei paraggi dell'accampamento romano per essere venduti come schiavi."
Ciò che Giulia in pigiama diceva io lo vedevo perfettamente. La sua voce serviva solo a commentare i fatti ed a farmi capire meglio.
"A sera alcuni legionari accendono un grosso fuoco e si riscaldano bevendo vino o lavando spade insanguinate; altri in un catino si lavano soddisfatti gioendo per la vittoria; altri strigliano i cavalli ispezionandoli alla ricerca di eventuali lesioni o ferite. L'attenzione è attirata da forte trambusto. Due legionari trasportano penzoloni il cadavere di un compagno. Giovane donna con vistosa collana e lunga nera stola da cui pendono amuleti ossei e drappeggi segue il gruppetto. La luna da poco spuntata illumina la terra di vivido splendore.
La voce – mi sembra quella di Giulia - nel sogno spiega:
"La giovane donna sono io, il morto sei tu."
Si aggiungono altri soldati quelli non proprio stanchi, tutti a seguire con attenzione la scena. La giovane donna, una maga dall’aspetto simile a Giulia, stringe alle mani due torce. E’ scalza con una corta tunica bianca e trasparente. Sotto non ha niente.
Il gruppo si porta a breve distanza dall'accampamento per svolgere magico rito. Si dispongono tutti a cerchio a vedere. Giulia che nel sogno è la maga bruna e dai capelli corvini, ordina ad uno dei legionari di eseguire con la daga una striscia sul terreno lunga un paio di metri. Alle estremità della striscia pone le due fiaccole con in mezzo il cadavere del legionario che indossa ancora l'armatura. Dalla sommità di alcune pietre poste come altarino, la maga prende una coppa d'argilla piena di miele.
Giulia-maga a specificare:

"Mel in puro calice est."

Versa il miele intorno al cadavere. Fa’ lo stesso con un calice di latte:

"Lac in puro calice est."

Idem con una coppa di vino dopo averne libato:

"Vinum in puro calice est."

Dopo queste operazioni la maga-Giulia prende una focaccia di farina modellata in forma umana che ornata di alloro e finocchi, la depone con cura sul petto del morto.

Si mette a dire tre volte:

"Hominum genitrix".

Sguaina le daghe dei due legionari si denuda ed inizia una danza frenetica emettendo lunghi gemiti verso il nero cielo. Dice agitando le spade luminescenti:

"Dagae exercitus vis liberant. Vetus exercitus in vetera tempora. Dagae ianuas coeli aprunt. Et vita returnat in pectore."

Con le daghe s'incide la pelle alle braccia. Ripone le spade nel fodero dei due soldati. Raccoglie il suo sangue con ramo d'alloro e lo spruzza sulle due torce. Davanti alla torcia infissa presso la testa di me morto, solleva alla luna le braccia sanguinanti e profferisce una cantilena.
Ritorna a danzare coi piedi scalzi su polveroso suolo. Quello era un sogno che avrebbe cambiato la mia vita. Ma solo tempo dopo ne ebbi la prova.

Nel sogno la maga Giulia danzava stralunata come fuori da se stessa, dalla sua vita e dal tempo. Era come drogata. Giulia che si trasfigura come Pretty Woman nel film con Julia Roberts, come Cenerentola la sera della festa o come una solista al suo debutto all’opera. Ora più che una maga, è simile alle modelle che sfilano sulla passerella tra due ali di folla, come principesse a corte. Assomiglia alle ballerine della televisione, principesse anche loro, con addosso veli trasparenti sul corpo seminudo. Tutti la guardano incantati, tutti l'ammirano come in un castello di vetro trasparente, scortata da un misterioso suono. Ed ecco, si spoglia... Giulia si spoglia dei vestiti e di se stessa... abbracciata dalla vampa ondeggiante delle due fiaccole.
Si curva rapida sopra il mio cadavere per mormorare in orecchio degli incantesimi. Tutti vedono i miei occhi di morto aprirsi di scatto e subito dopo il mio corpo trafitto sollevarsi in piedi rigido come statua. Alla luce delle fiaccole la maga Giulia chiede a me, legionario ucciso di parlare dell'oltretomba. Rispondo solo col cenno del capo, poi mi affloscio cadendo a terra bocconi. La maga dà uno strattone senza ritegno a me cadavere e mi gira in posizione supina. Riformula con autoritaria insistenza la domanda. Stringe di nuovo le due daghe e rifà con frenesia la macabra danza. Abbondante sudore le scende alla fronte. Un legionario presente spazientito grida in latino che se il morto non parla la uccide. Un legionario vicino gli dice che è protetta dal centurione Crispino. La maga Giulia riformula al cadavere la domanda:

QUAE EST INFERUM MUNDUM ?

Il mio cadavere scatta di nuovo in piedi come animato da improvvisa forza vitale e parla con voce cupa, rauca, sforzata e sofferente. Il bianco viso di me morto, muovendo appena le labbra e sgranando gli occhi fissi nel vuoto, così parla:

"INFERA INFERORUM MUNDA IN CALIGINE AETERNA CADAVERA PERDITA IN GELIDA TERRA. VIM VIVENDI RELIQUA VITA EVASIT ET NEGAT QUEMQUAM POSSE VIVERE SAPIENTER."

Il mio cadavere ammutolisce e s'abbatte di nuovo a terra. La maga non fa’ altri tentativi per rianimarlo. Si spengono le torce e la maga si porta il mio cadavere in tenda. Rimangono soli. Lei spoglia il cadavere, lava il corpo e con la magica mano ne chiude lo squarcio mortale al basso ventre. Vedo nel sogno che il cadavere si anima. Lei prende a baciarlo e si mette su di lui con le cosce aperte. I due fanno l’amore. E’ come se a scopare fossi direttamente io. Avvertivo la dolcezza del sesso e lei nuda su di me godere appagata. Dicevo:
"Giulia, ti amo."
Subito dopo eiaculavo dentro di lei.
Una flebile voce avvertiva filosofeggiando:
"La realtà – definita come la totalità di ciò che esiste – è indipendente da noi. Noi siamo parte della realtà, ma non ne siamo i regolatori, in nessun senso."

Al mattino mi svegliai verso le dieci. Vidi nella penombra che il suo letto era vuoto. Chiamai: "Giulia!"
"Faccio il caffè, sono in cucina, adesso vengo."
Nel sollevare le coperte mi accorsi della grossa macchia sullo slip ed il lenzuolo. Era il mio sperma. Avevo eiaculato nel sonno, nel sogno erotico sognando lei. Colpa del poster ed del mio arrapamento. In un modo o nell’altro dovevo dirglielo, non potevo andarmene senza dire che avevo sporcato le lenzuola.
Infilai il pantalone senza lo slip. Feci attenzione nel chiudere le brache ai peli del pube. Dopo il caffè glielo dissi: "Giulia, stanotte… beh… vedi…"
Sollevai le lenzuola con in mezzo la grossa macchia.
"Ho bagnato anche lo slip che ho incartato e me lo porterò a casa. Posso farti lavare anche le lenzuola. Dovevo dirtelo."
"Beh, non fa niente."
"E’ che stanotte ho sognato… colpa del poster… ho fatto un sogno erotico."
"Hai sognato che facevi l’amore con me, vero?"
"Beh, sì."
"Provo ad indovinare. Hai sognato che io ero una maga, che facevo resuscitare un cadavere, che il cadavere di legionario romano in realtà eri tu… e che una volta resuscitato ti accoppiavi con me… anzi ti saltavo addosso a cavalcioni."
"Come sai tutti questi particolari?"
"Ho fatto lo stesso sogno. Non so perché, ma siamo stati catapultati entrambi nel passato remoto."
"Allora la tua amica ha ragione…"
"Ha ragione a dire che ho doti medianiche? Veramente dice che sono quasi una strega."
"E’ questo che dice? E’ questo che pensa di te?"
"Perché tu adesso cosa stai pensando, che sono normale? Che il sogno di stanotte è normale?"
"Di solito non ricordo i sogni oppure per sommi capi. Invece del sogno di stanotte ricordo tutto."
"Hai visto? Era tutto scritto. Tutto previsto."
"Forse in questa casa ci sono gli spiriti. Nel sogno a me è parso per poco di aver visto veramente l’inferno come quel legionario morto raccontava. Ho visto montagne di soldi guardati a vista da gente armata di kalashnikov che sparava su inermi macilenti che davano l’assalto ai soldi. Altri che si strafogavano di cibo in banchetti sontuosi e gettavano sotto il tavolo le briciole raccolte da schiavi affamati come cani. Gente lebbrosa piagnucolante… gente sadica che scannava poveri infelici… gente gaudente e gente disperata a camminare per una lunga strada. Una in interminabile strada delimitata da rovi emergenti da sbuffi di nebbia."
"E’ ciò che accade anche qui, non ti pare? Forse l’inferno è qui nel nostro presente, è qui nel passato e nel futuro. Forse l’inferno è la Storia."
"E noi ci stiamo calati dentro, volenti o nolenti."
"Quando ieri pomeriggio ti ho visto ho capito tutto. Tu somigli a quel legionario del poster, ecco vedi?"
Giulia aveva staccato il poster dal muto.
"Guarda, vedi se non sei tu questo."
A guardare con attenzione il legionario steso a terra esanime aveva una lunga cicatrice all’avambraccio. Anch’io ce l’ho allo stesso modo. Poi forse forse, la faccia era la mia. Era come se qualcuno mi avesse ritratto come un legionario romano morto. La differenza era nel colorito quello era bianco in faccia perché ucciso con la spada o una lancia ed io che sono vivo, sono bruno.
"Lo sai che nel sogno di stanotte ho avuto la sensazione che la maga - cioè tu – veramente mi resuscitasse da uno stato di profonda prostrazione e mi facesse uscire da un mondo nebuloso e strano?"
"Era tutto scritto. Tutto previsto."
"Ma previsto da chi?"
"Vattelapesca."
Giulia volle chiarire altre cose. Prima ci voleva una sigaretta. Fumammo entrambi. Disse:
"Tocca, vedi, questo non è un poster, ma una vecchia pergamena. La comprai alla fiera di santo Stefano che si tiene il venti di luglio al mio paese."
Dietro c’è scritto, leggi:
"Cum legionarium militem necatum inter viventes videas, hanc pergamenan ura atque repente cum eo coniungi."
"Che significa?"
"Quando vedi il legionario ucciso tra i vivi, brucia questa pergamena e subito unisciti a lui."
"Cioè… che significa unisciti subito a lui?"
"Che dobbiamo fottere… che ci dobbiamo sposare… tu mi vuoi? Giuseppe ho paura. Dopo pochi mesi che comprai questa pergamena i miei genitori ebbero l’incidente mortale con la macchina, capisci?"
"Sì, ci dobbiamo sposare… ma… io non aspettavo altro. Tu mi sei piaciuta dal primo momento che ti ho visto, anzi… intravisto nella macchina."
Ci abbracciammo e scopammo come la pergamena prescriveva. Scopata fenomenale, scopata storica.
Veramente avrei voluto conservarmela per ricordo e per riconoscenza, ma Giulia fu categorica:
"Porta sfiga."
Andammo a bruciare la fatale pergamena nel cesso. Dopo sei mesi ci sposammo felici. Io toccavo i sette cieli. Fu un matrimonio riparatore per via della gravidanza.

All’inizio fu dura. Studiavo quando potevo, per lo più di notte. Il giorno feci per vari periodi, l’uomo delle pulizie, il fattorino, lavorai in una stazione di servizio e il garzone in un magazzino.

Grazie alle amicizie degli zii a Napoli due anni dopo il matrimonio, Giulia ebbe un posto di tecnica di quinto livello presso un dipartimento universitario. Diceva che lavorava poco e che aveva molto tempo a disposizione per studiare e prepararsi i restanti esami di farmacologia. Il suo direttore le voleva bene e le aveva promesso un avanzamento di carriera dopo la laurea.

Adesso il nostro bambino ha sei anni e Giulia si è laureata in Farmacia. Ha vinto il concorso come ricercatrice universitaria. Anch’io adesso sono medico. Siamo nel 2010. I tempi duri sono alle spalle. La pergamena tutto sommato ci ha aiutato. Una storia incredibile, ma vera. Indovinate il suo direttore – e protettore - come si chiama?
Crispino, prof. Mario Crispino come Crispinus il centurione del sogno. Incredibile. Una volta andando nel dipartimento di mia moglie lo vidi: un quarantacinquenne massiccio col naso aquilino e aspetto arcigno. Me lo immaginai con la corazza ed il gladio come un centurione all’attacco. Dietro la sua scrivania campeggiava una cartina a colori dell’Imparo Romano ai tempi dell’imperatore Tito.
Allora mi convinsi: ciò che definiamo tempo è un intreccio di eventi passati, presenti e futuri. Il Tempo scorre a nostra insaputa. Scorre in intricate valli.