Fabio Barcellandi (Brescia, 1968) non è un nome nuovo nel panorama editoriale e poetico italiano. Ha già pubblicato un corpus di nove poesie nell’antologia “Il Mercante d’Inchiostro” edita da Farnedi Edizioni; un ulteriore corpus di sette poesie nell’antologia “Florilegio” edita da Lisi Editore e la silloge “Parole Alate”, poesie ispirate dall’omonima canzone di Meg, edita da Cicorivolta Edizioni. Attivo anche nella narrativa, suoi racconti sono stati pubblicati sulle riviste Macworld e Writers Magazine Italia, con la quale collabora. Coopera con il sito di scrittura creativa Opposto.net, che si occupa di creatività, narrativa, racconti e poesia, e con http://www.tellusfolio.it/, il giornale telematico dedicato ad argomenti di attualità e cultura. Vincitore del premio Solaris edizione 2008 delle Edizioni Montag, presenta ora la silloge Nero, l’inchiostro – che tu chiami parole:
NERO, L’INCHIOSTRO
che tu chiami parole
cicatrici d’asfalto
catrame fuso
a rimarginare
graffi di verginità
filo per sutura
nero
l’inchiostro
che tu chiami… parole
non senti
il dolore
ché ti tiene in vita
creatura
DR. FRANKENSTEIN
“Leggendo questa raccolta di poesie la prima espressione
che ci viene in mente, ma proveniente da uno strato emotivo
profondo, è appunto quella di “poesia nera” per il confluire
di una serie di livelli mentali al limite di ogni espressione di
vita, talmente al limite da parlare nella maggior parte dei
componimenti, già dai titoli decisamente funerei nel loro
implacabile susseguirsi, chiaramente e assolutamente di
morte.”
Dalla Prefazione di Beppe Costa
____________________________________________________________________
Recensione di Alessandro Assiri
Ho letto troppe volte con Fabio per non immaginarne la voce, per non farmi viziare dalla delicatezza dei modi garbati che troppe volte fanno a pugni con un dettato di parole cruente.
E’ tagliente il verso di Fabio, ma la sua voce e la postura ricuciono gli strappi come se alcune parole necessitasse ammorbidirle per renderle pronunciabili.
“Nero l’inchiostro” è una raccolta tormentata che lascia poco al riscatto, quasi nulla alla speranza, è un cammino incontro a una sofferenza spossante, irrimediabile, che è per estensione quella della scrittura, il cammino della parola che affronta ma non risolve, perché nessuna parola assolve, come è giusto che sia.
“sei colpevole anche tu come tutti” ci suggerisce Fabio in un passaggio ben riuscito, perché tutto il testo richiama alla trama dell’origine a quel filo invisibile della colpa commessa e mai pagata che genera il male di vivere e ne pone le basi nere di tutto il suo dilemma. “A tutti i costi” che sembra comprimere, con la cadenza di un decalogo, l’inutilità di tutti gli sforzi di trovare del bene, risulta quasi una confessione di uno svuotamento, dove togliere la luce diventa solo affidarsi all’ombra.
Lo sguardo di Fabio è quello di chi guarda il male e lo racconta senza resistergli, perché solo narrandolo nella sua ora terminale potremmo dire di essere arrivati sin lì partecipando a tutte le finzioni e confondendole con l’assoluto.
___________________________________________________________________
Inchiostro, di Chiara Daino
LEGGE DI PUGH: Se il cervello umano fosse abbastanza semplice da essere capito da noi, noi saremmo troppo stupidi per capirlo.
Arthur Bloch
La semplicità è apparenza. La semplicità è apparente. La semplicità è il dire pigro. Mancanza di categorie critiche adeguate: è semplice. La Parola di Barcellandi è tutto. Tutto tranne che: semplice. Il Linguaggio, prodotto della Lingua, si rivela [anche] nell’Accento, nel Timbro, nella Tonalità, nella Musica, nel Colore. E leggete a voce alta! È così semplice leggere Barcellandi?
Paul Claudel avvertiva: «la poesia non è fatta di queste lettere che pianto come chiodi, ma del bianco che resta sulla carta». E quando il silenzio esprime – come si traduce l’underwritten? Quando tutto si concatena, quanti “semplici” significati spalanchi? Quando l’enjambement è doppio e duplica il senso, quali significanti sono palesi?
Nero, l’inchiostro. Nero, il non visto. Nero grumo del sangue [la Poesia è cruda e, crudele, indaga e incarna le zone d’ombra]. Nero dei corpi che tendono in sé tutta la luce [e rimandano all’occhio l’azzurro intenso di un raggio]. Nero-Nekròs dei morti, Nero delle nuvole Masai, delle nuvole che portano pioggia e sono il simbolo della prosperità. E ancora: Nero dell’antica Cina, nero come il Nord, nero come l’acqua, nero come uno dei 5 colori principali. Nero lo specchio nero delle predizioni. Nero, l’inchiostro – che tu chiami parole. Parole che contengono quella prole che Barcellandi cerca e crea – per il popolo futuro, attraverso le piccole morti – di verso in verso, pietra nera su una pietra bianca [Vallejo è testimone].
Semplice? E quanto labor limae è semplicemente o-messo? Quel labor limae che è taglio a sette? Se le rime sono rime ossee, se le labbra sono ferite, se le bocche sono crateri di sangue – quanta carne viva s’ignora? Il corpo del Testo è il corpo dell’Autore – il suo respiro, il filtro che riceve e rimanda. E ancora: nel preciso istante in cui l’Autore dichiara di non cercare un senso, ma di cercare un senso in più – la Poetica è il recupero di ogni livello/strato – per quanto difficile sia. Se Rimbaud sintetizza «Io è un Altro», Barcellandi spalanca «Io sono Altrove» [e non è né semplice né casuale la scelta: sono]. Dove sia quell’Altrove è luogo di Poesia, luogo dove solo l’acqua può [per farsi/verso/di te] e procede per “cambi di stato”. Al Poeta non resta che essere. Quella spugna che assorbe, filtra le scorie e gocciola – sangue fertile. E sono corpi cavernosi e corpi spugnosi – per fecondare il futuro.
E poi? Un colpo di spugna. Semplice, no?
_________________________________________________________________
RECENSIONE DI Alberto Mori
Quando Zarathustra il profeta prese la parola veniva annunciata la fine della tragedia ed un tempo nuovo ad un uomo nuovo. In questo secolo, dopo quello breve e terribile dove anche questa idea è morta, accanto alle crisi ed alle guerre, spirano venti post human nelle sperimentazioni scientifiche e nelle estetiche tecnologiche delle arti applicate.
Anche nella poesia spesso, come del resto certa nuova poesia tedesca insegna, l’interiorità è chirurgia. Dissezione dell’io: si pensi ad autori quali Durs Grumbein e Gunter Kunert.
La poesia di Fabio Barcellandi ne adotta alcune affinità ma dispone di una sapienzialità diversa: vi sono rtmi assertivi e definitivi nella loro forza battuta e scabra, ma anche l’interrogazione, centellinata, quasi scivolata fuori dalla doppia mandata che spesso inchiavarda i versi: “Pene/dolori/e sofferenze/è dunque la morte l’unica speranza?”.
Spesso fra le sue parole la condizione luttuosamente esibita del male regge l’intenzione della conoscenza. Diviene frammento ad energia aforistica emanata per scomparire nella pagina bianca. Gli appigli dei capoversi paiono scalini di un anabasi tellurica nel corpo. Una discesa orfica dove alla fine compare la deflagrazione esclamativa: “Nel male/che poi è lo stesso/oscuro/contrito/arcano/appunto!”.
Il libro ad impatto front page appare molto duro e petroso e scopre via via la “capacità negativa” dell’autore che punta ad uno svuotamento ed in certi passaggi più articolati raddoppia le costruzioni identiche delle asserzioni. Quasi in forma litanica buia per renderne ancora più incisa la musica. Un sabba freddo, anche se l’opposto si oppone al distacco, così fortemente, da far comprendere che non vi è più fondo, ma l’oscurità è spegnimento senza luce. Questa infelicità da requiem minimale fa pensare ad un verso di Ingeborg Bachmann che domanda anche la stessa poesia di Barcellandi: “Perché infelice, che cosa vuoi dire? Nulla, se si ripete tanto spesso la parola”.
Nella silloge “ Nero, L’ inchiostro” di Fabio Barcellandi questo nichilismo cerca assoluzione e assolutezza per cercare ”di poter vivere nudo sulla dura terra del disincanto”.
Questa spoliazione integrale è il dono più compiuto che questo libro offre ai lettori carpiti nel buio dalla guida silenziosa del poeta.
Maggio 2010
Commenti 0