Pisciatona, pisciatona
di
Mariano Guzzini
La casa era molto ampia, forse
troppo. Isolata sulla spiaggia, si allargava come un dolce nel
forno.
I bambini erano in fila, i culetti conficcati nella sabbia, i
capelli rossi a boccoli mossi dal vento che veniva dal mare e si
muoveva alle loro spalle a perdita d’occhio. Le bocche
erano socchiuse e gli occhi fissi, ipnotizzati dalle parole del
vecchio babbo enorme, grasso e sbilenco.
Oltre la linea del battere delle onde, nelle prime
profondità un polpo sembrava avere una sua buona ragione
per sgranchirsi gli otto tentacoli e per articolare tutte le
ventose, a turno. Con metodo. I pori dilatati, forse.
"La mamma aveva sofferto troppo. Si era sentita inutile e
incapace. Con le forbici si feriva alle braccia e guardava uscire
il sangue come fosse il sangue di un’altra. Allora venne un
uomo che si prese cura della mamma. Fece passeggiate, e le diede
due gattini deliziosi, belli quanto voi tutti. Si chiamava
Giovanni e vostra madre stava bene con lui. La faceva sentire
all’altezza della vita di tutti. Come quando voi state con
gli altri bambini. Lei si sentiva come gli altri, e la cosa le
piaceva. Ma sia Giovanni che la mamma che i gattini sentivano che
prima o poi le cose sarebbero cambiate. La mamma aveva voglia di
voi bambini, e voi non arrivavate. Continuava a dire che voi
bambini, e solo voi, l’avreste convinta di essere come le
altre mogli. Ma si capiva pure che voleva vivere una vita
diversa. Che voleva andare oltre tutte le aspettative sue, e
oltre le aspettative di tutti".
"Cosa vuol dire andare oltre le aspettative?" Domandò il
maschietto, il più grande. Le bambine ridacchiarono, e il
vecchio babbo enorme non rispose perché pensando solo un
poco alla risposta si era perduto subito vedendo Laurina
finalmente felice chissà dove, in una vita oltre le
aspettative.
Sempre messo così, sospeso tra la domanda e i pensieri
gli sembrò di vedere un polpo che sgranchiva gli otto
tentacoli laggiù, oltre la spiaggia bianca, oltre le onde
che facevano le capriole. Riprese a raccontare.
"Con Giovanni andò avanti per anni. Si trasferirono da
Pavia a Roma, e il lavoro la prese parecchio. E le colleghe del
ministero, i colleghi, le amiche, gli amici. Giocavano come
giocate anche voi, all’asilo. Amiche, amici. Qualche amica
più amica delle altre. Qualche amico che la faceva ridere
felice.
Poi un giorno la mamma incontrò un cagnone bianco, molto,
molto grande, che ciondolava e la guardava rapito. Lei era tanto
socievole. Lo grattò nella collottola, lo toccò qua
e la e laggiù, mentre quello mugolava e abbaiava, anche.
Il cagnone la seguì e per mesi la cosa andò avanti.
Si incontravano dietro una svolta di strada e si frequentavano
davvero. Spesso lui faceva delle enormi pisciatone, che si
allargavano, e allagavano i marciapiedi…"
"Pisciatone! Pisciatone!" esclamarono le bambine. Ridacchiando di
nuovo.
"La mamma si accorse ben presto che quelle macchie avevano senso.
Guardandole bene rappresentavano sempre qualcosa di preciso:
animali, ma anche case, oggetti, farfalle, lumache. Fichi
d’india. Il cagnone si esprimeva solo così, con i
guaiti di felicità e con i bordi delle sue gigantesche
pisciatone…"
"Pisciatone! Pisciatone!" ripetevano le bambine, ridacchiando
ancora.
"Comunicava cose concrete, ma sempre più precise, il
cagnone. A guardare le sue pisciatone vostra madre vedeva
un’altra casa, piena di farfalle e di giardini e di libri.
Con il teatro. Gli strumenti musicali. E quando non succedeva
niente, quando vostra madre lo metteva fuori dal portone, o non
lo incontrava per settimane, lui disegnava un polpo, che
allungava otto tentacoli otto sempre più lunghi. Sempre
più grandi.
"Ma perché non è più qui, il cagnone?"
Chiese il più grande, sotto i suoi boccoli rosso oro. "La
mamma se l’è portato via quando se ne è
andata?"
Il vecchio babbo enorme stavolta non lasciò la domanda
senza risposta. Non voleva perdere credibilità, anche se
aveva in testa il disegno del polpo sull’asfalto
bagnato.
"Non è qui perché è morto. Un giorno aveva
fatto la sua enorme pisciatona…"
"Pisciatona! Pisciatona!" ridacchiarono le bambine.
" Una grande pisciatona calda, che disegnava un polpo… ma
era una di quelle volte che la mamma davvero doveva andare. Lui
era un grande cagnone bianco molto permaloso e molto stupido e
quel giorno voleva tante coccole. Ma vostra madre doveva andare,
e non ci fu modo. Lui ci rimase male. Talmente male che si mise
al centro della strada, dove i tram si attaccano alla rete
elettrica e sferragliano come mostri. Si lasciò portare da
tutto quel ferro in arrivo in un posto oltre ogni aspettativa,
dove non c’è più ragione di pisciare."
"Di pisciare! Di pisciare!" ripeterono le bambine. Ridendo.
"E’ solo per questo che adesso non è qui, a pensare
assieme a noi alla mamma. Dopo, siete arrivati voi. Il resto lo
sapete…"
Ma il più grande non mollava. "Il resto io non lo so,
invece. So che la mamma se ne è andata, dopo che siamo
venuti qui, al mare. Ma non so dov’è, adesso. Lo sai
tu, papà, dove è finita la mamma?"
"No. Non lo so. So che c’entrano i polpi. E il sole che da
questa parte del Mediterraneo picchia più forte che in
Italia. So che un giorno vostra madre ha preso la macchina e che
quella macchina è stata trovata vuota. So che due
pescatori di polpi hanno riconosciuto la sua fotografia, e hanno
detto che è andata a pesca con uno di loro, un giorno, ma
poi è salita in macchina per andare chissà dove,
più tardi, a piedi, come fa lei quando sente che deve
andare avanti, oltre le aspettative di vita, oltre i nostri
stessi pensieri. Dopo di lei non si è saputo più
niente, come se fosse evaporata. Come se si fosse essiccata al
sole assieme ai polpi".
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© Mariano Guzzini