L'IGNORANZA E L'INGEGNO
Doveva star male, per vederlo triste e col viso
pallido, il piccolo Damiano; piccolo per modo di dire, aveva
compiuto da poco 10 anni, e il suo peso era già di 35
chili, tanto che gli amici lo avevano battezzato Damianazzo.
Pigro, con un faccione rosso, come un tuorlo d'uovo di gallina
nostrana, che a guardarlo ti veniva voglia di schiaffeggiarlo,
non perché avesse un cattivo carattere, anzi, ma per il
gusto di toccare quelle paffute guance. Seduto, guardava da
dietro i vetri, quasi che volesse contare i grossi fiocchi di
neve che scendevano giù lungo la strada come se stessero
eseguendo una danza Mozartiana. Aspettava che arrivassero gli
amici: Francesca (Ciccia per gli amici), esile ragazzina dal viso
lentigginoso, vivace (ai vicini di casa ne combinava di tutti i
colori). I gatti, quando la vedevano spuntare in fondo alla
strada, scappavano dal terrore, riusciva quasi sempre a prenderne
qualcuno. Titti, poverino, si divertiva a prendersi il sole
pallido di quella giornata nevosa, sdraiato a pancia all'aria
sulla "jittena"; lei lo acchiappò per la coda e lo fece
girare in aria, tanto che, povera bestia, dalla paura in quelle
giravolte fece la pipì investendo qualche passante, mentre
le donne si premuravano a chiudere gli usci (mezze porte)
perché non entrasse dentro quella pioggia. Ciccia
arrivò puntuale al solito orario; con lei c'era anche
Angelino, ragazzo studioso e attento alle spiegazioni che la
maestra, "vecchia zitella" come la definiva Ciccia, faceva in
classe. Appena arrivati, nonna Lucia li invitò ad entrare
facendoli accomodare su gli sgabelli attorno al braciere acceso.
A Ciccia, asciuga i capelli ancora pieni di neve e poi offre ai
ragazzi infreddoliti della mostarda e un po' di surrogato caldo.
Nonna Lucia amava quei piccoli quanto amava Damianazzo.
-Oggi,- disse loro, -voglio narrarvi "il racconto di massaro
Dionisio". Seduti ed in silenzio si preparavano a vivere quei
momenti fantastici. -C'era una volta, di tanto tempo fa, massaro
Dionisio che ne combinava di tutti i colori. Un giorno andarono a
trovarlo due suoi compari, appena li scorse in lontananza disse
alla moglie di nascondere la pentola di terracotta piena di
pasta, condita con finocchi e sarde, sotto il letto; quindi fece
entrare i due compari, e questi, siccome era ora di pranzo,
dissero alla comare: -Oggi non si mangia?- -Sì!- fece ella
-perché?- -Siccome è l'ora di pranzo e di mangiare
non ne vediamo i preparativi... - -Perché, avreste
intenzioni di mangiare qui voialtri?- Fece lesto compare
Dionisio. -Nossignore! Così... ho solamente chiesto se...-
Massaro Dionisio pensò subito di burlarsi dei compari
dicendo loro che non occorreva che la moglie preparasse,
perché tanto ci avrebbe pensato la pentola magica.
-Magica?- Rispose uno dei compari. -Sì, proprio
così! Ch'è? non ci credete, vero? Ora vi mostro un
pò!- Prese la pentola e le disse: <<pentolina,
pentolella, più ti guardo più sei bella, per il
bene che mi devi del gran fuoco che ti scanso, su, preparami un
bel pranzo!>> Aprì il coperchio, e, col fumo si
levò in aria un buonissimo odore di sarde e finocchietti
che riuscì a stuzzicare le papille gustative dei due
allocchi compari rimasti a guardarsi in faccia meravigliati.
-Dovete venderci questa pentola a qualsiasi costo!- Disse il
più anziano dei compari. -Vendere? Ma quale vendere!-
Rispose massaro Dionisio. Ma finì che, dopo tanta
insistenza dei due compari, vendette loro la pentola; del resto
era questa l'intenzione: burlarsi di loro. -E quando il compare
arrivò a casa, che fece nonna? Funzionò la pentola?
E sua moglie che fece? Che fece, nonna?- -Aspetta, non correre!-
Esclamò nonna Lucia a Ciccia impaziente di sapere la
conclusione della storia. -Arrivati a casa, uno dei compari disse
alla moglie di buttare quello che aveva preparato da mangiare
perché si doveva provare la pentola nuova. -Ho fatto del
capretto in tegame!- Rispose la moglie seccata. -Perché
devo buttarlo via?- -Perché lo dico io, e devi darmi
ascolto!- Ribatté il marito. La donna buttò a
malincuore il capretto ai cani che inghiottirono in un baleno
quel bel pranzetto, leccandosi la ciotola e guardando la padrona
come a volerle chiedere il motivo di quel regalo. -Apparecchia la
tavola! E t'accorgerai di quanto succederà-
continuò il marito. La moglie, incredula, continuava a
guardare il marito, e quella pentola, cercando di capire come, e
che cosa avrebbero dovuto mangiare, ora. Quando la tavola fu
bella e apparecchiata... -Pentolina, pentolella, più ti
guardo più sei bella, del gran bene che mi devi per il
fuoco che ti scanso, su, preparaci un bellissimo pranzo!-
Diss'egli; ma niente. -Preparami un bellissimo pranzo!-
Continuò Dionisio sotto gli occhi increduli della moglie
che continuava ad osservare la pentola.- Ma nella pentola non
succedeva niente. Del resto, cosa avrebbe dovuto preparare quella
povera pentola. Continuò ancora per diverse volte, e,
rendendosi conto della burla, i due fecero ritorno da compare
Dionisio, il quale, prevedendo la reazione dei due,
suggerì alla moglie di mettersi, sotto la veste una
vescichetta piena di sangue d'agnello da poco sgozzato - Per far
cosa, nonna? Su, su dai racconta! - Quando arrivarono i compari,
marito e moglie si fecero vedere che litigavano, una finta
s'intende, tanto che quelli non vollero più sapere la
ragione dello scherzo della pentola, anzi cercavano di
riappacificare i due; ma il diverbio fra marito e moglie si
accendeva sempre più; Dionisio finì che prese un
coltello e colpì la moglie conficcandoglielo nella
vescichetta; in un batter d'occhio, a terra fu pieno di sangue. I
due compari restarono più sconvolti che sorpresi. - Ma
cosa avete fatto, compare Dionisio? Avete ucciso vostra moglie! E
ora? - - Ora cosa?- Rispose adirato massaro Dionisio. - Dovevo
pur farle capire come si discute! Era testarda! Credeva di dover
fare sempre ciò che diceva lei! - - Ma cosa dovete farle
capire, ora che l'avete uccisa! - - Ma che uccisa e uccisa!- Fece
Dionisio certo dei fatti suoi; -Se è per questo, non
datevene peso; adesso vi faccio vedere una cosa .- Tirò
fuori dalla tasca un fischietto, e, suonando..., come d'incanto,
la moglie incominciò ad alzarsi. - Che cosa!!! -
Gridarono, sbalorditi, guardandosi in faccia i due compari con
ancora la pentola in mano. - Questo - disse massaro Dionisio
indicando il fischietto, - è' magico!... - - E voi -
risposero i compari continuando - se ora volete veramente
rimediare al torto che ci avete fatto della pentola, ci dovete
vendere questo fischietto! - -Giusto! Ce lo dovete vendere! -
Rispose anche l'altro compare - Massaro Dionisio, fece come per
dire di no; poi, allungò la mano e si fece dare i soldi
del fischietto, e li rimproverò dicendo che se la pentola
non ha funzionato dovevano prendersela con loro stessi,
perché non hanno sicuramente pronunziato bene le parole
magiche. I due si guardarono smarriti, lasciano la pentola sul
tavolo e vanno via contenti con quel fischietto in mano
ripromettendosi, lungo la strada, che non appena arrivati a casa
avrebbero principiato una calorosa lite con le rispettive mogli,
una bella scenata, insomma, per poter provare il fischietto. - E
cosa hanno fatto? Cosa hanno fatto, nonna Lucia? - - Non puoi
saltare avanti, Ciccia! Devi avere pazienza, o vuoi che ti
racconti solo la fine! - - No, no! Nonna Lucia - Rispose
Angelino. -La vogliamo sentire tutta la storia! Stai zitta
Ciccia! Dai, dai nonna! - Damianazzo, che la storia l'aveva
già sentita più volte, si divertiva a rosicchiare
delle fave che faceva abbrustolire sulla brace; ogni tanto nonna
Lucia, con della cenere, doveva coprire qualche fava dimenticata
da Damianazzo che, bruciando, faceva fumo. A casa del primo
compare, in men che lo si dica, nacque una rissa con la moglie,
la quale, senza capirne il perché e la ragione, si vide
arrivare una coltellata dal marito; cadde per terra in una pozza
di sangue, mentre il marito, lesto, soffiava il fischietto
invano. Ritornarono dal compare con intenzione tutt'altro che
amichevole stavolta. Arrivati, lo presero e, senza spiegazioni,
lo infilarono dentro un sacco, lo legarono, e decisero di andarlo
a buttare a mare. S'incamminarono. Durante il viaggio, fecero
sosta in una locanda, lasciarono il sacco fuori ed entrarono per
rifocillarsi un po' e riposarsi, stanchi per quel gran fardello
portato sulle spalle già da diverse ore. Massaro Dionisio
incominciò a lamentarsi: - " Non la voglio la figlia del
re! Fatemi uscire! Non voglio sposare la principessa! -
Continuava a gridare. - Si trovò a passare, lungo quella
strada di campagna, un capraio il quale, incuriosito da quei
lamenti, si avvicinò e chiese all'uomo dentro il sacco il
motivo per il quale non avrebbe voluto in sposa la figlia del re;
quegli rispose che non avrebbe sposato per nessuna cosa al mondo
una principessa da altri impostagli. - La sposo io!- Disse il
piccolo capraio. - Senti ansi che facciamo, ti do le mie caprette
e tu mi fai entrare li dentro al posto tuo.- E così
fecero. Usciti i due compari, ignari dell'accaduto, si
ricaricarono il sacco sulle spalle e s'avviarono meravigliati di
sentir dire: "voglio sposare la figlia del re! La sposo la
principessa!" - Adesso, adesso te la diamo noi la figlia del re!
Stiamo arrivando al castello! - Risposero ironici i due compari
che, guardandosi in faccia scoppiarono a ridere. Arrivarono
finalmente a mare, legarono al sacco una grossissima pietra e lo
mandarono al fondo. Tranquilli, rifecero la strada del ritorno,
contenti finalmente di essersi definitivamente liberati del
compare burlone e che quindi non li avrebbe più derisi.
Ma... giunti vicino al paese, s'accorsero, sbalorditi, di massaro
Dionisio che suonava un flauto, seduto su una grossa pietra a
guardia delle caprette che pascolavano. -Com'è possibile?
- Esclamò uno dei compari - lo abbiamo buttato a mare, lo
abbiamo pure visto annegare, e ora si trova qua? - - Eh, quanto
siete stati fessi ed io sfortunato! - Rispose massaro Dionisio -
Mi avete buttato dove l'acqua era bassa! e mi è toccato di
prendere queste quattro caprette; se invece mi avreste buttato
nell'acqua un po' più alta, avrei sicuramente preso una
gran mandria di buoi! - I due si guardarono in faccia, salutarono
compare Dionisio e scomparvero correndo verso la spiaggia, sicuri
che sta volta sarebbero sicuramente arricchiti buttandosi in alto
mare. - Ancora nonna! ancora!- Dissero Ciccia e Angelino;
Damianazzo continuava a rosicchiare, mentre il fumo di qualche
fava bruciata saliva, arricchendo lo scenario di quella favola di
un tempo.
La scienza
non ha fine;
l'ignoranza puo' non aver confini.
© Rocco Chinnici