SCATOLA CINESE

 

Non mi era mai capitato di restare invischiato in un sogno. Eppure quella mattina, al risveglio, mi resi subito conto che qualcosa non quadrava: intanto era luglio e, tirando su le tapparelle, un cielo incavolato grigio si posò sui vetri della finestra; e poi guardando fuori, anziché la solita sequela di edifici banalmente squadrati, vidi una distesa di tetti dalla foggia insolita. Ma forse ero ancora troppo insonnolito per collocare al loro giusto posto tutte le tessere di un normale risveglio mattutino.
Avevo sognato che Palermo, per qualche misteriosa esplosione di effetti speciali spazio temporali, fosse diventata la capitale dell'Austria, compenetrandosi intimamente con Vienna. Palermo era Vienna, o per meglio dire le due città si erano amalgamate in un coacervo di stili, architetture spazi e costumi che si alternavano, si soprapponevano e si intersecavano, come in una demenziale scenografia.
Mi vedevo ancora girovagare per le strade con sguardo perplesso e curioso a sviscerare le sfacciate incongruenze di quella stimolante simbiosi. Ricordavo lo stupore con cui avevo contemplato l'ottocentesco colonnato del parlamento austriaco che sfumava in quello altrettanto maestoso del teatro Massimo, quasi in una gara fra sontuosi classicismi. Di momento in momento i due edifici si accavallavano uno sull'altro, quasi risucchiandosi a vicenda, e nessuna delle due strutture riusciva a stabilizzarsi sull'altra. Rivedevo la convessa fronte del teatro Politeama modellarsi prepotentemente sulla facciata similarmente convessa del Burgtheater, eclissandola quasi del tutto e facendosi da essa eclissare pochi secondi dopo. E m'incantava il ricordo della normanna simmetria della cattedrale palermitana che cercava di fagocitare il duomo di Santo Stefano, con grande pena della piazza invero non molto capiente che si dilatava disperatamente per contenerla tutta.
Nel frattempo, mentre mi sforzavo di mettere a fuoco quelle icone ormai in dissolvenza, mi sottomisi alla sferza della doccia, mi sbarbai e, indossato un leggero impermeabile che il cielo incupito mi consigliava, uscii di casa dirigendomi a piedi verso il centro.
Con piacevole sorpresa notai che le strade erano insolitamente pulite: niente cartacce, rifiuti maleodoranti accatastati, cassonetti debordanti, turgidi escrementi in agguato. "Si vede che stanotte hanno ripulito alla grande," pensai.
Passando per villa Sperlinga, notai il solito tramenio di bimbi che ruzzavano attorno a palle e giochi d'ogni sorta, o sfiatavano su tricicli e monopattini. Qualcuno in sella a un pony, tenuto per mano dalla mamma, girellava felice lungo i vialetti di terra battuta.
All'interno di un'aiuola vidi un pastore tedesco che appagava coscienziosamente i suoi bisogni e subito dopo il proprietario (udite udite!) che, armato di paletta e secchiello, si premurò di rimuovere le tracce del misfatto. Stupito (sono comportamenti inusuali a Palermo), stavo per complimentarmi con lui quando, un po' più lontano, vidi una scena analoga. Scossi la testa come per convincermi che non stavo stravedendo, ma dovetti arrendermi alla realtà. "Alla fin fine i palermitani hanno secoli di civiltà dietro le spalle e non sarà qualche merda di troppo a farli sfigurare con gli altri europei. E poi a quanto pare cominciano ad imparare," meditai uscendo dalla villa.
Arrivato alle "Croci" (sono un gran camminatore) mi soffermai ad esplorare intorno. "Le Croci" è il soprannome di una grande piazza tagliata in due dal viale della Libertà, per cui entrambe le zone ai lati del viale hanno acquistato dignità di piazza, con un proprio nome e un proprio monumento. Ebbene, in quella di destra che si chiama piazza Mordini si ergeva una splendida statua di Wolfgang Amadeus Mozart incastonato in una candida schiuma di puttini alati che facevano corona alla figura del grande musicista. Curioso di appurare se anche nella piazza accanto avessero rinnovato qualcosa, mi ci recai. E quale fu la mia sorpresa appena mi si parò dinanzi quel monumento a Johann Strauss che a Vienna è collocato nel parco cittadino, con il brioso re del valzer raffigurato mentre suona il violino in una nuvola di spumose allegorie.
A quel punto, con passo spedito, mi diressi verso piazza Castelnuovo. "Chissà che novità ci saranno lì". E infatti restai sbigottito a contemplare il Burgtheater che svettava al posto del teatro Politeama. "Questa poi! Ma allora sto sognando!". Eppure era tutto reale: la gente trepestava come sempre, quattro uomini chiacchieravano animosamente, ragazzini scorrazzavano sui pattini. "Boh ! Forse è meglio che mi distragga un po' ".E così salii sull'autobus che porta alla spiaggia di Mondello per scuotermi da quella allucinante esperienza.
All'imbocco della Favorita, imprevedibili fasci di luci multicolori sciabolavano l'aria e lungo il tragitto all'interno del parco si susseguivano trabiccoli di panellari, banchetti di hotdog, chiostri di bibite, attrazioni e giochi d'acqua verso cui sciamava gente allegra e variopinta. Sulla sinistra, una grande ruota girava lentamente incastonata in quella nuova scenografia ludica della città. "Ma questo è il Prater! " esclamai.
Mondello, grazie al cielo, non mi riservò sorprese, a parte la straordinaria pulizia della spiaggia libera. Indugiai a contemplare il grigio sciabordio del mare impigrito sotto quei nuvoloni accatastati e striato dalle gioiose falcate dei gabbiani, e dopo un po' m'immersi in un succulento menu, da cui decollarono con decisione uno splendido piatto di spaghetti all'astice e un'orata ai ferri seducente come una sirena. "Queste cose a Vienna non si trovano" pensai soddisfatto.
Beandomi di quel trionfo di sapori, me ne tornai a casa stralunato ma appagato e mi buttai di schianto sul letto a crogiolarmi nel mio consueto pisolino pomeridiano. Dopo un'oretta di quieto relax il risveglio, con relativa espulsione delle arrendevoli tapparelle: ed ecco che dai vetri rutilanti mi scivolò addosso, quasi inaspettata, una balsamica ondata di caldo sole mediterraneo.

 

Michelangelo Cammarata